Come spesso accade quando si arriva fine legislatura gli interventi dei partiti e dei singoli esponenti politici che si esprimono a favore di questa o quella misura a favore della scuola, dei docenti e del personale Ata si sprecano.
L’ultima “sortita” va ascritta a Luigi Gallo (M5S) che ha annunciato con grande prosopopea che nella prossima legge di bilancio bisognerà inserire risorse importanti per adeguare gli stipendi dei docenti e per ridurre il numero degli alunni per classe.
Peccato che si tratti dello stesso Luigi Gallo che non mosse un dito quando il suo ministro Fioramonti si dimise nel dicembre del 2019 perché nessuno prendeva sul serio le sue richieste di soldi per la scuola.
Ed è lo stesso Gallo che – insieme con tanti altri parlamentari di ogni forza politica – ha serenamente approvato le finanziarie presentate nel 2018, 2019, 2020 e 2021 nelle quali, volendo, qualche soldo per il contratto scuola si poteva pure mettere.
Il fatto è che dalla primavera del 2018 ad oggi abbiamo assistito quasi sempre ai soliti annunci più o meno “interessati”, a partire dal famoso “aumento a tre cifre” di Bussetti, convalidato da Conte con una stretta di mano con i leader sindacali nell’aprile 2019, fino alle ripetute “affettuosità” del ministro Bianchi che è riuscito a far avviare la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale ma solo dopo che si erano di fatto già conclusi (o quasi) tutti gli altri contratti del pubblico impiego.
Il punto che tutti tengono sotto traccia è il solito: in realtà i contratti pubblici stanno tutti nello stesso “calderone” e se si parla di aumenti – poniamo – del 4%, quel tetto deve riguardare tutti i comparti.
E’ pura demagogia continuare a parlare di recupero del gap stipendiale fra i docenti e gli altri laureati della Pubblica Amministrazione se resta fermo questo principio.
E’ una questione matematica: chi ha uno stipendio di 20mila euro, con un aumento del 4% avrà 800 euro in più; chi ne guadagna 25mila con un altro 4% avrà un aumento di 1000 euro; il gap fra i due stipendi aumenta dunque di altri 200 euro.
Per evitare questo effetto bisognerebbe dire che a chi è al di sotto dei 25mila euro andrebbe riconosciuto un aumento del 5% e a chi è al di sopra dei 25mila bisognerebbe dare solo il 3%
Ma questo significherebbe accettare il principio di aumenti differenziati, con tutto quello che ciò comporta.
Curiosamente, però, nessun politico ha il coraggio di affrontare questo nodo ben sapendo che l’impopolarità sarebbe assicurata.
E allora tutti preferiscono lasciarsi andare a proclami demagogici nella speranza (o nella certezza?) che docenti e Ata – sfiancati e sfiduciati – si aggrappino a qualche pur esile speranza di ottenere qualche beneficio dal prossimo Governo.
Ma il rischio che questo “gioco” non dia più i risultati sperati è sempre più alto: ormai c’è almeno un cittadino su due ha deciso di non andare neppure a votare.
Reazione del tutto comprensibile anche se, per la verità, non dobbiamo mai dimenticare che la democrazia ha mille difetti ma per ora un sistema migliore non è ancora stato trovato.
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