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Aumenti stipendiali: il nodo resta il fondo di istituto

Come avevamo (facilmente, per la verità) previsto, l’anno scolastico si apre con la “grana” degli scatti stipendiali.
I sindacati, che a giugno davano ormai per risolta la questione, stanno iniziando a protestare perché si scopre che a tutt’oggi manca ancora l’atto preliminare all’avvio di ogni discussione seria sull’argomento: a quanto dicono i sindacati il Mef e Funzione Pubblica non avrebbero ancora inviato all’Aran l’atto di indirizzo che consente l’apertura della trattativa.
Sul ritardo non c’è molto da dire se non che, ormai, quello dei tempi si sta rivelando come uno dei problemi più seri di questa fase: la pre-intesa in materia di mobilità annuale è rimasta ferma per quasi due mesi negli uffici di viale Trastevere con le conseguenze che ben sappiano, del decreto sull’autonomia scolastica che doveva uscire ai primi di giugno non si sa ancora nulla, e meno ancora si sa del decreto ministeriale sui docenti inidonei.
Il punto è che, ormai, la possibilità di risolvere il problema degli aumenti stipendiali ruota tutto intorno ad una questione: sono disponibili i sindacati ad accettare una riduzione (consistente) del fondo di istituto pur di ottenere un (modesto) aumento generalizzato?
La riduzione delle risorse del fondo sembra ormai inevitabile, ma se questa sarà la strada da percorrere le conseguenze – non solo per le tasche dei docenti ma anche per gli stessi sindacati – saranno pesanti. In pratica succederà che, per distribuire qualche centinaia di euro di aumento “a pioggia”, bisognerà ridurre (e di parecchio) i compensi spettanti al personale che maggiormente si impegna nelle scuole per “tenere in piedi la baracca” (funzioni strumentali, collaboratori del dirigente e così via). Già adesso i compensi erogati a queste figure sono spesso più simbolici che reali (come definire somme che – a conti fatti – non superano i 60-70 euro netti mensili ?).
Si troveranno ancora docenti disponibili a lavorare di più per 40-50 euro netti al mese?
Ma le conseguenze si faranno sentire soprattutto sulle stesse relazioni sindacali: se dalla contrattazione di istituto sparisce una parte rilevante dell’articolo 6 del CCNL (assegnazione del personale ai plessi e alle sedi), come ha ormai scritto anche il Ministero dell’Istruzione, e se le risorse da distribuire sono sempre più ridotte, quale sarà il futuro della contrattazione integrativa di istituto ?
Cosa resterà ancora da “contrattare” ? Ben poco. E se la riduzione del fondo di istituto dovesse proseguire ancora l’anno prossimo per garantire i prossimi aumenti, lo scenario sarebbe davvero pesante: le RSU potrebbero diventare quasi inutili.

Reginaldo Palermo

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