Sulla questione dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego (e della scuola in particolare) è arrivata pochi giorni fa la doccia fredda del ministro dell’Economia Giovanni Tria che ha fatto chiaramente intendere che per ora non solo non c’è spazio per incrementi stipendiali ma sarà addirittura necessario rivedere al ribasso la spesa pubblica a partire da quella per il personale.
Allo stato attuale, quindi, è molto probabile che a partire dal prossimo mese di gennaio gli stipendi di gran parte dei docenti e di tutti gli Ata diminuiranno, per effetto della mancata erogazione del cosiddetto “elemento perequativo” che il CCNL dell’aprile scorso finanziava solamente fino al mese di dicembre 2018.
C’è però chi ha già una idea su come affrontare la questione stipendiale.
L’Unicobas, infatti, nella piattaforma resa pubblica già da qualche settimana parla di aumenti consistenti (1000 euro mensili netti in più per il personale docente e 250 netti per il personale Ata), ma con una clausola importante: “In caso di mancanza di liquidità da parte dello Stato – spiega il segretario nazionale Stefano d’Errico – si può prevedere la possibilità di corrispondere una parte dell’aumento (al massimo la metà) non con denaro contante ma con BOT o titoli di Stato”.
Parallelamente, secondo Unicobas, andrebbero previsti sgravi fiscali per attività culturali ed aggiornamento oltre che per l’acquisto di libri e di materiale didattico.
“Non dobbiamo però dimenticare – sottolinea d’Errico – che per poter riconoscere a docenti e Ata aumenti stipendiali signficativi è assolutamente indispensabile prevedere l’uscita della scuola dal campo di vigenza del decreto legislativo 29/93 che, al momento, rende impossibili aumenti contrattuali sopra l’inflazione ‘programmata’ e non consente più il riconoscimento degli scatti biennali d’anzianità (come è invece previsto per i docenti universitari)”.
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