Mi chiedo se scrivere sia davvero rimasta la unica arma democratica per comunicare e allo stesso tempo per lottare contro ogni indifferenza apparente, poiché credo che lassù qualcuno di fatto non soltanto ascolta, ma conosce già e molto bene la realtà di quaggiù (non parlo di Dio e degli uomini, ma del MIUR con i suoi tavoli infiniti di lavoro incompiuti, e di noi a cui è rimasta la codificazione di Docente). Ma non scrivere rischia di apparire un atto di rinuncia o di rassegnazione (il limite tra i due vocaboli forse in fondo non esiste).
Leggevo su internet una notizia, peraltro non più visibile sui siti di indirizzo, di un incremento di sette milioni di euro per gli stipendi del Personale della Presidenza della Repubblica, per cui le briciole che il MIUR ci offre (come sempre) non sono nemmeno e non più una offesa alla nostra dignità di Insegnanti (e rabbrividisco che il Presidente della Repubblica non denunci o comunque non proferisca parola: ma Lui non parla, mai, – scusatemi ma mi viene in mente Crozza quando in una sua si domandava se Mattarella parla, con il dovuto rispetto per il Primo Cittadino di questa Repubblica Italiana; ma firma, al di là poi se ha idea che cosa significhi la sua firma con le conseguenze che ne apporta).
Per la prima volta mi allineo con quanto dichiarato da Mario Bocola nella sua lettera “Una scuola tra dirigenti manager, docenti operai e alunni utenti” del 31.10.2019, nella quale ben chiaro si delinea il quadro della nostra Scuola Italiana. Poiché chi scrive qui, unitamente alla miriade di colleghi, ben si ritrova, perché è quanto viviamo nel feriale del nostro lavoro, o meglio della nostra missione (perché insegnare è e resta una vocazione dunque una missione, che piaccia o meno).
I Sindacati che ruotano attorno alla Corte del MIUR, come una volta nelle Corti si muovevano i cortigiani, i diplomatici e i tantissimi che avevano accesso o il potere attorno al tavolo di comando. I Sindacati!? Dove sono? Come formiche a gironzolare attorno ai tavoli per briciole di diritti: per loro 40 o 50 euro sono una conquista.
E NOI?! Quanto ancora spettatori attoniti dinanzi alla ruberia quotidiana, al disprezzo per i nostri diritti, per il nostro lavoro in trincea quotidiana ove non sempre i generali (i DS) sono all’altezza del comando? E noi POPOLO ITALIANO che ci culliamo e ci accontentiamo come se risolti e risolti i nostri problemi di sussistenza feriale, o meglio di sopravvivenza alla sopravvivenza del giorno dopo giorno grazie al reddito di cittadinanza; Noi con i nostri giovani che sono i giovani di questa Repubblica italiana alla cerca di un lavoro, o con ancora la valigia in mano, come i nostri nonni o i nostri padri o alcuni di noi non molto tempo fa, col sogno in tasca di una terra promessa!?
Non ci siamo proprio.
Ma, del resto cosa ci si deve aspettare, se la Scuola al suo interno è e resta divisa: docenti lecchini, o troppo legati al cerchio magico che chiamiamo collaborazione con la Dirigenza, e docenti silenti che sin dalla prima ora di lezione sono presenti per attendere al loro lavoro, e talvolta se non sempre alcuni utilizzati (serviti) a sostituire coloro che per mille motivi sono assenti alla loro responsabilità (questi “alcuni” sono poi i docenti di potenziamento e gli ITP, un ibrido istituzionale che fa comodo tanto da essere denigrato e sfruttato ad uso e consumo di chi li gestisce e non bastano le normative in merito alla loro funzione, fin quando non saranno separati nella loro funzione didattica e gli verrà dato il legittimo riconoscimento di docenti con diritto parimenti a quello di tutti gli altri docenti, e la cui sede del laboratorio è e resta il luogo didattico come lo è l’aula per i docenti di teoria).
Sette milioni. Sette milioni in più per il personale della Presidenza della Repubblica. E se poi una banca dovesse andare in tilt allora ecco miliardi e miliardi per non falla fallire.
Ci meritiamo questo Stato, questo Paese, questa Politica, questo Circo.
So che questo scritto perché libero (fin quando non mi negheranno con la sospensiva di scrivere: Palermo docet) è pesante, poco ortodosso, ma chi scrive tenta, senza presunzione alcuna, di urlare le tante voci silenti, non rassegnate, non omertose, un po’ sfiduciate certo ma sempre in prima linea quando si tratta di responsabilità, e che dicono dell’onestà che ne deriva dall’amore per questo Paese, per questa Repubblica, per questa Scuola Italiana.
Noi Italiani non siamo il Cile che non si ferma al primo atto di riconoscimento di errore del Suo Primo Cittadino, e non siamo il Libano, nemmeno la Catalunya, nemmeno l’Iraq, neanche Tienanmen. Non siamo Tedeschi o Francesi, non siamo e non abbiamo la Bastiglia. Siamo frutto di una storia di invasori o conquistatori, successivamente alla caduta dell’Impero Romano, e per questo ci manca il coraggio della Piazza, democraticamente e liberamente. Del resto non esiste più un pensiero politico, che comunque non sia “estremista”, e non parliamo più o scriviamo più segnati dai colori che hanno dipinto la storia delle Democrazie Europee. Svendiamo la nostra cultura, le nostre ricchezze che sono poi la bellezza di questa Italia, che il mondo ci invidiava, e di cui comunque resta la culla dell’Europa, con la Sua Costituzione e il suo Diritto a cui anche l’America ha attinto per la formazione del suo Stato giuridico e sociale.
La dignità di noi docenti e di noi Popolo Italiano non si misura comunque soltanto da tutto ciò e nemmeno dai 40 euro in più che la “carità” Politica ci destina. La dignità è frutto di riconoscimento personale in primis e sociale successivamente quando comprendiamo la sacralità dell’essere persone, uomini, cittadini, POPOLO.
Mario Santoro
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