Mentre per docenti e Ata il contratto rimane in sospeso, per via dei pochi soldi e la richiesta di incentivare i doveri professionali, è arrivato in Consiglio dei ministri il via libera all’intesa del 23 dicembre tra sindacati e Aran per sbloccare il contratto di circa 240mila statali: come da agenda, nella seduta del 19 gennaio è stato ratificato l’accordo, esattamente come La Tecnica della Scuola aveva indicato da alcuni giorni .
Oltre agli 85 euro di aumento, che dovrebbero arrivare a febbraio, i dipendenti pubblici coinvolti – in prevalenza ministeriali – riceveranno anche gli arretrati del biennio 2016-2017: si tratta di cifre variabili, a seconda del compenso lordo individuale, dai 370 euro della fascia più bassa ai 712 della più alta, per una media pari a 492 euro.
Per rendere operativo il contratto non resterebbe che il vaglio della Corte dei Conti. A tal proposito, il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo, spera “che la Corte dei Conti faccia velocemente in modo da poter sottoscrivere definitivamente il contratto e dare la possibilità ai lavoratori di usufruire degli incrementi salariali”.
Il sindacalista spiega poi come si continui a “lavorare per chiudere velocemente anche gli altri contratti” del pubblico impiego, relativi alla scuola, alla sanità e alle autonomie locali”.
Dello stesso avviso si è detto il segretario confederale della Cisl, Ignazio Ganga, “fiducioso che l’iter per il contratto degli statali si completi ed essendo questo un contratto apripista aiuterebbe anche le trattative in corso per gli altri comparti”.
Tuttavia, la strada per sancire il rinnovo anche nel settore scolastico è tutt’altro che in discesa. Tanto che, se va bene, gli aumenti si materializzeranno non prima di aprile.
Come se non bastasse, negli ultimi incontri tenuti all’Aran, i sindacati hanno ricevuto delle proposte praticamente irricevibili. Ve le riportiamo:
Su alcune i sindacati difficilmente potranno cedere: in particolare, il possibile incremento di ore lavorative e impegni da annoverare tra gli obbligatori, l’inasprimento di sanzioni ai danni del personale, la non contrattazione dell’organizzazione scolastica, l’impossibilità a spostare i bonus merito e professionale sul ‘tabellare’ degli stipendi.
In attesa di capire come andrà a finire la trattativa, con le parti mai così distanti come oggi, viene da chiedersi per quale motivo nella scuola l’accordo del 30 novembre 2016 non riesca a trovare applicazione. Sui soldi utili agli aumenti, lo abbiamo detto in tempi non sospetti, c’è purtroppo poco da fare perché non sono sufficienti (considerando anche l’alto numero di docenti e Ata sotto i 25mila euro lordi) ad arrivare per tutti ad 85 euro medi lordi applicando la percentuale di aumenti “secchi” adottati invece senza troppi problemi negli altri comparti.
Ma viene da chiedersi, stando così le cose, perchè si voglia anche quasi infierire sulla scuola: a queste condizioni, di retribuzione solo lievemente incrementata dopo nove anni di “fermo”, perché si vuole mettere mano al contratto cercando di imporre delle norme difficilmente condivisibili dai lavoratori?
Come si fa, soprattutto, a proporre un innalzamento delle ore di lavoro, delle sanzioni e addirittura una riduzione dei margini di trattativa nelle decisioni che ogni preside è chiamato a prendere, riducendo gli incontri sindacali a poco più che delle informative? Come la prenderebbero i tanti docenti e Ata che già si sentono penalizzati dalle ultime riforme, in particolare dalla Legge 107/15?
Non vorremmo stare nei panni dei sindacati di comparto, tra l’altro alle prese anche con il rinnovo delle Rsu e quindi in cerca di consensi: dopo gli entusiasmi per l’accordo di Palazzo Vidoni, si ritrovano davvero una bella “gatta da pelare”.
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