Per l’esattezza si tratta di €. 174,50 e riguarda i docenti “superprecari”, vale a dire quelli assunti per supplenze cosiddette “brevi” (che poi tanto brevi non sono: si pensi alle supplenze per maternità o fino al termine delle lezioni).
Com’è noto, i docenti assunti per supplenze brevi si vedono spesso licenziare a ridosso dei periodi di sospensione delle lezioni (vacanze di Pasqua o Natale, “ponti” più o meno lunghi).
Ugualmente penalizzante è il trattamento per malattia, nonché la disciplina per la fruizione dei permessi.
Ma ciò che appare francamente scandaloso, è il fatto che persino il trattamento retributivo è deteriore, non solo rispetto ai colleghi di ruolo, ma persino rispetto agli altri docenti precari con contratto annuale o fino al termine delle attività didattiche.
Infatti, ai docenti assunti per supplenze brevi non viene corrisposta la retribuzione professionale docenti (RPD), che ammonta appunto a €. 174,50 al mese, vale a dire una voce stipendiale superiore al 10% della paga base.
Si tratta di un compenso di natura fissa e continuativa, non collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente (non è necessario dunque fare ore aggiuntive, progetti, svolgere particolari funzioni, ecc.), istituito dal CCNL “secondo biennio economico 2000/2001”.
In particolare, l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 stabilisce, al comma 1, che “sono attribuiti al personale docente ed educativo compensi accessori articolati in tre fasce retributive”, aggiungendo, al comma 3, che «la retribuzione professionale docenti, analogamente a quanto avviene per il compenso individuale accessorio, è corrisposta per dodici mensilità con le modalità stabilite dall’art. 25 del CCNI del 31.8.1999”
Non si comprendono le ragioni per cui – pur svolgendo le stesse identiche mansioni e lo stesso numero di ore- i docenti assunti per supplenze brevi debbano subire anche questa palese discriminazione.
Occorre considerare quanto stabilisce in proposito la clausola 4 dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato, che al comma 1 prevede:”
“Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Sulla questione, si è da tempo espressa anche la Corte di Cassazione che ha affermato il seguente principio di diritto: “l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto scuola, interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, attribuisce al comma 1 la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze”.
Tali docenti hanno pertanto diritto all’aumento dello stipendio, oltre agli arretrati per i servizi svolti negli anni precedenti.
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