Personale

Aumento stipendi luglio 2023, FLC CGIL: 35 euro mensili non tutelano i salari dall’inflazione

Come abbiamo già comunicato, da luglio è in arrivo l’emolumento accessorio una tantum e tutti gli arretrati da gennaio. Si tratta di un compenso economico che prevede, per l’anno 2023, un aumento in busta paga corrisposto per tredici mensilità, variabile in base alla qualifica rivestita.

Lo ha previsto la Legge di Bilancio 2023, che all’articolo 1, comma 330, così recita: “per l’anno 2023, gli oneri posti a carico del bilancio statale per la contrattazione collettiva nazionale in applicazione dell’articolo 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e per i miglioramenti economici del personale statale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 1, comma 609, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, sono incrementati di 1.000 milione di euro da destinare all’erogazione, nel solo anno 2023, di un emolumento accessorio una tantum, da corrispondere per tredici mensilità, da determinarsi nella misura dell’1,5 per cento dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza”.

NoiPA ha fatto sapere che a luglio verranno pagati anche gli arretrati corrispondenti al periodo gennaio – giugno e da luglio l’una tantum verrà applicata mensilmente, per tredici mensilità.

Per i lavoratori della scuola statale – scrive la FLC CGIL – si tratta di un compenso medio di circa 35 euro mensili per 13 mensilità pari a circa 450 euro annuali che varia dai 20,53 euro mensili per un collaboratore scolastico al primo gradone di anzianità fino ai 44,38 euro mensili per un docente delle scuole superiori all’ultimo gradone di anzianità“.

Secondo il Governo – continua il Sindacato – questo emolumento una tantum – per il 2023 dovrebbe sopperire al mancato finanziamento per il rinnovo contrattuale relativo al triennio 2022-2024 – è del tutto insufficiente a recuperare la perdita del potere d’acquisto dei salari rispetto all’inflazione dello stesso anno oltre che del triennio“.

In proposito, la FLC CGIL fa due conti: “rispetto al 2023 l’Istat ha previsto un’inflazione (Ipca) pari al 6,6%, con la conseguenza che a fronte di un aumento disposto dal Governo per il medesimo anno di appena l’1,5% i lavoratori subiranno una perdita secca del 5,1% che, in termini economici, è di ben 1.500 euro annui. Nel triennio la perdita sarà ben maggiore poiché all’inflazione del 2023 va sommata quella del 2022 – già certificata dall’Istat al 6,6% – e quella del 2024 – che secondo le previsioni Istat sarà del 2,9% – per un’inflazione complessiva nel triennio del 16,1%. Poichè in legge di bilancio non è stata stanziata alcuna risorsa per il rinnovo contrattuale relativo al triennio 2022-2024, e a fronte del misero una tantum dell’1,5% disposto dal Governo, si profila per i lavoratori della scuola una riduzione secca del valore degli stipendi del 14,6% che in termini economici significa una perdita di ben 4.500 euro“.

E conclude: “A poco serviranno gli altri interventi messi in campo come il riconoscimento dell’indennità di vacanza contrattuale (che è pari solamente allo 0,5% dello stipendio) o la riduzione temporanea del cuneo fiscale (che è di 6 o 7 punti della quota dei contributi previdenziali per i salari fino a 35.000 euro che si applica solo da luglio fino a dicembre 2023)“.

Lara La Gatta

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