Apprendiamo con allarme della diffusione della bozza di DDL del 28 aprile “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui al 3° comma dell’art. 116 della Cost.” e della volontà della Ministra per gli Affari regionali e le Autonomie, Maria Stella Gelmini, di approvare il DDL entro l’estate.
La bozza si compone di 5 articoli, il primo dei quali definisce i principi generali e il riconoscimento di “nuove forme di autonomie ai sensi dell’art. 116 e le modalità di intesa tra Stato e regioni”. Nonostante la Commissione di giuristi nella relazione consegnata alle delle Bicamerali del Federalismo fiscale e delle Regioni ritenga “che sia preferibile espungere in questa prima fase la materia dell’istruzione, il cui trasferimento porrebbe problemi politici, sindacali, finanziari, tributari quasi insormontabili, con un quasi sicuro aumento dei costi di sistema sia per le Regioni destinatarie del trasferimento, sia per lo Stato”, la ministra non ne ha tenuto conto; infatti all’art. 3 della bozza di DDL si apprende che istruzione, sanità, trasporto pubblico potranno essere trasferite previa definizione dei LEP.
L’articolo che desta maggiore preoccupazione è l’art. 4 che prevede che “le risorse finanziarie siano determinate dall’ammontare della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali della regione interessata per l’erogazione dei servizi pubblici oggetto di devoluzione e le regioni riceveranno esattamente la quota corrispondente alla spesa storica e saranno incentivate ad efficientare l’esercizio delle funzioni trasferite al fine di trattenere le risorse risparmiate”. Stabiliti i LEP, l’articolo 4 prevede inoltre il superamento della spesa storica attraverso la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. Una volta deliberato in Consiglio dei ministri, il DDL sarà trasmesso al Presidente del Consiglio e al Ministro per gli Affari regionali che, entro 30 giorni, avvierà il negoziato con la regione per essere sottoscritta dal Presidente della regione richiedente. Nei successivi 10 giorni verrà poi trasmesso alle Camere per un parere da parte della Commissione parlamentare bicamerale e per le questioni regionali che dovrà esprimersi entro 30 giorni. Acquisito il parere favorevole, governo e regione dovranno redigere un accordo che sarà trasmesso in Parlamento sotto forma di DDL per la mera ratifica e senza la possibilità di proporre emendamenti.
L’autonomia differenziata è inaccettabile anche per la procedura parlamentare prevista per la sua approvazione: nonostante la commissione di giuristi incaricati dalla ministra abbia ribadito che “di fronte alle modifiche all’assetto istituzionale italiano che possono derivare dall’attuazione del regionalismo differenziato, il coinvolgimento parlamentare appare costituzionalmente imprescindibile”, il Parlamento è di fatto declassato a ruolo meramente consultivo e di ratifica senza possibilità di emendare i disegni di legge del consiglio dei ministri per attuare le “intese” tra governo e Regioni. Non solo: una modifica degli accordi potrà avvenire solo attraverso il reciproco consenso delle parti e nessun referendum potrà intervenire nel merito degli accordi. In tale modo, l’autonomia regionale differenziata porterebbe alla frantumazione del sistema unitario di istruzione, minando alla radice l’uguaglianza dei diritti, il diritto all’istruzione e la libertà di insegnamento, e subordinerebbe l’organizzazione scolastica alle scelte politiche e economiche regionali: tutte le materie che riguardano la scuola, e oggi di competenza esclusiva dello Stato, passerebbero alle regioni, con il trasferimento delle risorse umane e finanziarie. Anche i percorsi PCTO, di istruzione degli adulti e l’istruzione tecnica superiore sarebbero decisi a livello territoriale, con progetti sempre più legati alle esigenze produttive locali, così come gli indicatori per la valutazione degli studenti, mentre le procedure concorsuali avrebbero ruolo regionale e più difficili diventerebbero i trasferimenti interregionali. Cosa resterebbe della contrattazione nazionale? Una residuale funzione di cornice introducendo una versione regionale delle “gabbie salariali”, con i salari di alcune aree del nord che cresceranno, o resteranno stabili, e quelli del centro-sud che diminuiranno.
Per tutte queste ragioni, i COBAS, congiuntamente con il Comitato Nazionale per il ritiro di ogni autonomia differenziata, parteciperanno al presidio che si terrà a Roma il 22 giugno (V. della Stamperia, di fronte al Ministero, ore 12.30), chiedendo lo stop del DDL e un dibattito pubblico, allargato e aperto, che renda i cittadini/e consapevoli di quanto sta avvenendo.
Continueremo a rigettare un disegno di legge che nega il principio di eguaglianza formale e sostanziale prevista dall’articolo 3 della Costituzione, frammentando l’assetto istituzionale del Paese e aumentando le distanze tra il Nord e il Sud, le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti di tutti i cittadini/e.
Carmen D’Anzi
Esecutivo nazionale COBAS Scuola
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