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Autonomia differenziata, la Consulta contraria all’istruzione spezzettata. Esulta l’opposizione: il Governo Meloni vuole creare scuole di serie B

L’istruzione deve avere una ‘valenza necessariamente generale ed unitaria’, fare capo un ‘sistema nazionale di istruzione’ e di ‘offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale’. A scriverlo, con la sentenza 192 composta da 160 pagine, figlia dell’udienza del 12 novembre scorso, è stata la Corte Costituzionale esprimendosi, con giudizio di legittimità sollevato da alcune regioni del centrosinistra sulla liceità dell’Autonomia differenziata, la cosiddetta legge Calderoli, diventata legge dello Stato con il via libera del Parlamento all’inizio della scorsa estate. Venti giorni dopo l’udienza, il 3 dicembre, le perplessità della Consulta sono state rese pubbliche, con tanto di indicazioni specifiche su vari punti che, in assenza di chiare indicazioni sui servizi essenziali, potrebbero venire a determinare delle differenze di trattamento dei cittadini probabilmente anticostituzionali.

Anche se i giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera riforma, posta dai governatori, sono comunque sette i profili della legge Calderoli su cui arriva lo stop della Consulta.

Innanzitutto, per la Corte vi sono delle materie “alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà, vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento”. Ci sono materie, ha poi aggiunto la Consulta, in cui “predominano le regolamentazioni dell’Unione europea”, come le “norme generali sull’istruzione” che hanno una “valenza necessariamente generale ed unitaria”.

Per i rappresentanti dell’opposizione politica il messaggio è chiaro. “La sentenza della Corte Costituzionale sull’Autonomia differenziata depositata oggi, sui ricorsi presentati dalle regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, pur non riconoscendo l’incostituzionalità totale della legge Calderoli, ha motivato l’impossibilità di trasferire alle Regioni alcune materie considerate strategiche”, ha tuonato il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di palazzo Madama.

Secondo De Cristofaro, “la lettura della sentenza conferma la prima impressione: l’Autonomia differenziata è stata fatta a pezzi. L’Italia è una, indivisibile e il Parlamento è sovrano e non spetta al governo decidere su questi temi. Calderoli e Meloni se ne facciano una ragione: la legge sull’Autonomia, nata dallo scambio con il premierato, a stento sopravvive e non è possibile alcun ritocco migliorativo”.

Inoltre, continua, “la Consulta boccia la legge Calderoli, in particolare, in materia di istruzione, una delle materie più discusse durante il passaggio parlamentare”. Perché, conclude, “la scuola non si può regionalizzare, perché l’apprendimento delle ragazze e dei ragazzi deve essere uniforme su tutto il territorio nazionale“.

Anche per Irene Manzi, responsabile nazionale scuola Pd e capogruppo in commissione Cultura alla Camera, “le motivazioni della sentenza della Consulta che si è espressa in merito alla legge sull’autonomia chiariscono molto bene che ci sono materie alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Tra queste l’istruzione che deve avere una valenza necessariamente unitaria”.

“Lo avevamo detto: le motivazioni della consulta lo confermano. La scuola – continua la dem – non può essere spezzettata in tanti sistemi diversi che rischiano seriamente di mettere in discussione il diritto allo studio. L’istruzione è l’elemento che più ha contribuito ad unificare nella sostanza l’Italia e la creazione di sistemi regionali con risorse e regole differenziate penalizzerà le realtà che già hanno di meno”.

Con il modello Calderoli, sostiene Manzi, il rischio è “che gli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi delle regioni più fragili” rimangano “intrappolati in scuole di serie B. Non si tradisce così lo spirito della Costituzione e il principio della coesione nazionale”.

La Corte Costituzionale ha fatto anche intendere che nell’ambito delle osservazioni poste sul tema ha tenuto anche della netta posizione, contraria alla legge Calderoli, presa da “diverse associazioni senza scopo di lucro”, che “hanno depositato opinioni come amici curiae, ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative: si tratta delle associazioni ASSO-CONSUM-Puglia (reg. ric. n. 28 del 2024), UPI Toscana (reg. ric. n. 29 del 2024), ACLI e ANIEF (reg. ric. numeri 30 e 31 del 2024) e ANCI Campania (reg. ric. n. 31 del 2024). Tali opinioni sono state ammesse dal Presidente della Corte con quattro decreti, del 7 e del 10 ottobre 2024”.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, presente a Roma all’udienza della Consulta di alcune settimane fa, ricorda che “il sindacato Anief è stato e rimane l’unico che si è costituito, con un ricorso ad adiuvandum alla Consulta, perché si è sempre detto convinto che quel testo viola troppi articoli della Carta costituzionale. A partire dal fatto che il diritto allo studio va garantito a tutti, in particolare agli studenti con disabilità”.

Anche per il sindacalista “con il modello approvato lo scorso mese di giugno l’autonomia spinta che vuole essere concessa alle Regioni non sarà infatti accompagnata da alcuna garanzia di riequilibrio per i servizi essenziali. E non c’è traccia nella norma approvata, nemmeno nel testo approvato a suo tempo al Senato, degli investimenti finalizzati a restringere il divario tra Settentrione e Meridione, che quindi sono destinati ad aumentare”.

In ogni caso, la sentenza peserà inevitabilmente anche sui quesiti referendari. Il presidente della Consulta, Augusto Barbera, ha ricordato oggi che “se ne deve occupare l’ufficio centrale referendum, la Cassazione“, a cui è stato “trasmesso il testo perché devono verificare se ci sono le condizioni o meno per la consultazione referendaria”.

Alessandro Giuliani

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