L’autonomia differenziata torna prepotentemente di attualità. Subito dopo il varo del nuovo Governo, infatti, i ministri leghisti non hanno perso tempo per sondare il “campo”. Il più repentino è stato il nuovo titolare dell’Istruzione (e del Merito) Giuseppe Valditara, che una decina di giorni fa (prima ancora di interagire con parti sociali e i sindacati) ha incontrato gli assessori regionali all’istruzione e alla formazione assicurandoli di avere ben chiaro il ruolo decisivo delle autonomie locali. È tutto dire che l’argomento ha avuto la precedenza anche rispetto all’incontro con le i sindacati e le parti sociali.
La scorsa settimana è stata la volta di Roberto Calderoli, ministro leghista per gli Affari regionali e le Autonomie, che ha incontrato i presidenti delle Regioni (quasi tutte del Nord) più interessate a diventare autonome spiegando poi che intende “completare tutto il percorso dell’autonomia differenziata entro la legislatura”, approvando “la legge di Attuazione in meno di un anno” per poi “dedicare i successivi anni al conferimento delle varie materie”.
Le proteste
Tempo qualche giorno e sono scattate le proteste. Lunedì 7 novembre è uscito allo scoperto il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che insieme alle organizzazioni sindacali della scuola Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Snals Confsal e Gilda Unams, ha avviato una raccolta di firme per una Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare di modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione che riconosce alle Regioni forme e condizioni particolari di autonomia.
“Siamo contrari al disegno di “autonomia differenziata”, si legge nella proposta, perché “invece di consolidare il carattere unitario e nazionale, ad esempio del sistema pubblico di istruzione, ripropone un’ulteriore frammentazione indebolendo l’unità del Paese“.
Il rischio di aumentare le disuguaglianze
L’ultimo tentativo di regionalizzazione è del 2019, per volontà di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Oggi, sostengono i promotori della protesta, quel modello da realizzare viene “rilanciato dalla attuale maggioranza di governo”: solo che invece di investire nella “capacità di risposta dello Stato di cui si è avvertita l’estrema necessità durante la recente pandemia”, ci si espone al “rischio di aumentare le disuguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali”, si legge ancora nel documento congiunto prodotto dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e i sindacati della scuola.
Presto la raccolta delle firme
La raccolta di firme partirà nei prossimi giorni attraverso una piattaforma digitale e anche tramite moduli cartacei.
“La nostra proposta di legge – proseguono – prevede in primo luogo la modifica dell’art. 116 della Costituzione ponendo un vincolo alla richiesta di autonomia, che può essere concessa solo se “giustificata dalla specificità del territorio”.
Inoltre, la contro-proposta prevede di escludere la possibilità di una generica Legge quadro in ambito nazionale che lasci sostanzialmente campo libero a intese tra Stato e singole Regioni.
Si vorrebbe poi realizzare un referendum popolare approvativo della legge attributiva dell’autonomia prima della sua entrata in vigore, ed eventualmente un referendum abrogativo in tempi successivi.
Si vorrebbe, continuano i promotori dell’iniziativa, che la modifica dell’articolo 117 della Costituzione non riguardi sanità, istruzione ed infrastrutture, che dovrebbero rimanere sotto l’egida dello Stato restare di competenza esclusiva dello Stato.
Come si vorrebbe, infine, l’introduzione di una clausola di supremazia dello Stato per garantire “l’unità giuridica ed economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
De Luca: così si penalizza il Meridione
Ad opporsi all’autonomia differenziata delle Regioni è anche l’opposizione. Nei giorni scorsi, il Partito democratico ha fortemente criticato l’iniziativa del Governo.
Sempre il 7 novembre è stato il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ad esternare tutto il suo dissenso: intervenuto a Napoli, all’Università Suor Orsola Benincasa, commentando il dossier 2021 della povertà della Caritas, il presidente della Campania ha detto che “nel percorso per l’autonomia differenziata di questo Governo ci prepariamo a un’altra grande battaglia”.
Riferendosi a Roberto Calderoli, De Luca ha detto che il Governo Meloni “ha nominato ministro per le riforme un leghista, molto simpatico e gradevole: hanno in testa misure sulla scuola per la formazione autonoma nelle Regioni, sulla sanità per fare contratti integrativi regionali, sulle entrate fiscali statali di cui, su proposta di Lombardia e Veneto, una parte venga riservata alle Regioni del Nord”.
“Su quest’ultima idea sappiamo che se il 10% delle entrate verso lo Stato deve essere riservato alle Regioni in cui maturano abbiamo distrutto il Sud, non ci sarà nient’altro da fare. In quel caso da qui a 50 anni la popolazione meridionale scenderebbe del 50%”, ha concluso il governatore della Campania.
L’ipotesi di regionalizzazione della scuola
Come abbiamo già a avuto modo di scrivere, il progetto leghista potrebbe produrre anche un sistema scolastico differenziato, sia sul versante dell’offerta formativa, comprese le esperienze di Pcto, sia delle risorse che potranno gestire scuole (anche paritarie) e uffici scolastici, sia per quanto riguarda il reclutamento, quindi i concorsi, la formazione iniziale e in itinere, gli stipendi e la mobilità di docenti, Ata e presidi. Tutti ambiti, tra l’altro, che si intrecciano con i tanti miliardi in arrivo attraverso il Pnrr.
In linea teorica, anche le valutazioni di studenti e personale potrebbe portare a soluzioni diverse. Tanto che i sindacati hanno sempre poco accettato una proposta di questo genere, poiché, sostengono, verrebbe meno il principio dell’unitarietà dell’istruzione pubblica.
Come si andrebbe verso stipendi differenziati, con docenti e Ata in servizio nelle Regioni più ricche e propense ad investire sulla scuola che garantirebbero buste paga più alte.
Per i detrattori dell’autonomia differenziata, il rischio è che gli alunni appartenenti ai ceti meno abbienti avrebbero sempre meno chance di affrancarsi dal loro ambiente di provenienza: potrebbe quindi allargarsi la forbice del gap di competenze che già oggi caratterizza la preparazione dei nostri studenti, mettendo forse addirittura in crisi la tenuta unitaria del sistema nazionale d’Istruzione.
Di contro, c’è chi sostiene che si tratta dei soliti “visionari” apocalittici, sempre pronti a mantenere gli assetti tradizionali.
E, comunque, non si può nemmeno continuare a costringere le Regioni più virtuose a non spingersi verso il progresso, tenendo loro tarpate le ali solo perché altri territori nazionali non vogliono o non possono elevarsi.