Marina Boscaino è insegnante di Italiano e Latino del Liceo Classico Francesco Vivona di Roma e tra i fondatori del Comitato “Per la salvaguardia e il rilancio della Scuola della Repubblica”.
Boscaino è anche portavoce nazionale della Lipscuola e fa parte dell’Esecutivo per il ritiro di ogni autonomia differenziata, per l’unità della Repubblica e la rimozione di tutte le disuguaglianze.
Con lei proviamo a condurre una analisi della difficile e complessa fase che sta attraversando il nostro sistema scolastico.
La scorsa settimana il Governatore del Veneto Zaia ha incontrato il Ministro per le Autonomie Boccia e ha annunciato che il Veneto chiederà a breve l’autonomia su 23 materie tra cui la Scuola. Lei considera l’autonomia differenziata un ” progetto sovversivo”. Ci spiega perché?
Per vari motivi.
Il progetto di autonomia differenziata distrugge in primo luogo il principio di uguaglianza: diritti di cittadinanza differenti – a partire da quelli universali a quelli sociali – determinati sulla base della residenza: cittadini di serie A, B fino alla Z, a seconda di dove si è nati.
Se la Repubblica ha rappresentato sinora il perimetro entro il quale i diritti dovevano – almeno sulla carta – essere esigibili da tutte/i allo stesso modo e nelle stesse condizioni, l’autonomia differenziata istituzionalizza esattamente la condizione contraria. Viene bandito il principio di solidarietà, sancito dall’art. 2 della Carta, la richiesta di trattenere il gettito fiscale nel proprio territorio (la questione del “residuo fiscale”) elimina la possibilità di provare a sanare le sperequazioni tra i territori (determinate non solo – come invece sembrano affermare i governatori di Veneto, Emilia Romagna, Lombardia – da incapacità e malgoverno).
In realtà nel Paese c’è già molto di “regionalizzato”; perché adesso lei parla di “progetto sovversivo”?
Perché ora si chiede di regionalizzare la vera e propria “spina dorsale” del Paese, la scuola statale, sostituendola potenzialmente con 20 sistemi scolastici differenti, attribuendo alle Regioni tutto: le norme generali dell’istruzione, i contratti, la valutazione, la formazione, il come e il cosa insegnare. Si predispone – in questa logica avida, individualista, proprietaria, famelica – alla privatizzazione tutto ciò che – al contrario – dovrebbe rappresentare uno strumento dell’interesse generale: la scuola e l’università, appunto; l’ambiente, la sanità, le infrastrutture, i beni culturali, la sicurezza sul lavoro, solo per citare le materie più eclatanti.
Sovvertendo il dettato costituzionale (già profondamente attaccato dalla revisione dell’art. 81, il cosiddetto equilibrio di bilancio), si configura – subdolamente – una vera e propria riforma istituzionale, che nega uguaglianza e democrazia. L’Italia non sarà di fatto più una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma un sistema eterogeneo e con diverse potenzialità di piccole signorie in competizione tra loro.
Lei ha fatto più volte accorati appelli , affinché la scuola riscopra il suo ruolo costituzionale. Può sintetizzare il contenuto di tali appelli?
Per dare un senso alla mia militanza ormai venticinquennale in alcuni dei movimenti della scuola democratica – dall’associazione nazionale Per la scuola della Repubblica alla Lipscuola e ora al nuovo comitato Per la salvaguardia e il rilancio della Scuola della Repubblica – non ho fatto fatica a rintracciare nel nesso strettissimo tra gli artt. 3, 9, 33 e 34 della Costituzione il progetto di una scuola che sia realmente lo strumento privilegiato che la Repubblica ha per “rimuovere gli ostacoli”: una scuola laica, democratica, pluralista e inclusiva. Non si tratta di una semplice formula retorica: la libertà dell’insegnamento, la laicità della scuola, la cultura emancipante, una scuola che risponda alle stesse norme generali statali su tutto il territorio nazionale, in cui i capaci e i meritevoli – anche se privi di mezzi – possano accedere ai livelli più alti dell’istruzione; in cui enti e privati possano istituire istituti, purché senza oneri per lo Stato, una scuola “aperta a tutti”; questi ed altri elementi configurano concretamente quella che, con una formula che non mi piace, ma che uso qui per sintesi, l’ascensore sociale: ovunque e in qualsiasi condizione tu sia nato, questo organo costituzionale ti fornisce e ti obbliga a sfruttare un’opportunità di migliorare te stesso.
A quanto pare, però, i vostri appelli hanno avuto scarso seguito
Purtroppo è così.
Il processo di decostituzionalizzazione della scuola va avanti da almeno 25 anni a questa parte, rispondendo alla logica violenta del neoliberismo dettata anche dall’Europa ed ha enormemente allontanato la scuola italiana da questo modello e da queste intenzioni: dalla autonomia scolastica in poi (’97-’99), con la istituzione della dirigenza scolastica (2001) e, nello stesso anno, la riforma del Titolo V, la scuola è stata decostituzionalizzata; i docenti hanno – sotto i colpi sferrati – purtroppo in molto abiurato al proprio mandato. Le riforme in sequenza – Moratti (2003), Gelmini (2008), Renzi (2015), passando per Fioroni, Profumo oltre ad altri opachi personaggi che hanno occupato quel posto, tutti (coerentemente) interpreti di una medesima visione del mondo e della scuola – il dimensionamento scolastico (2011), la creazione del Sistema nazionale di valutazione (2013) non sono stati che alcuni passaggi drammatici che hanno configurato questo attacco intenzionale.
Adesso la situazione è diversa, si tratta di far ripartire la scuola, forse ci vuole grande senso di responsabilità da parte di tutti
Ora – con il Piano Scuola per il ritorno a settembre – si cerca di perfezionare l’opera, imponendo – in nome della pandemia e di una presunta “sicurezza” – un giro di vite per enfatizzare l’ autonomia scolastica, asservire completamente la scuola al mercato, saturarla di pensiero pedagogico unico, consegnare ai giganti della tecnologia le chiavi dell’istruzione, esternalizzare, privatizzare (si pensi all’ultimo, scandaloso lascito per le scuole paritarie), invalsizzare, comprimere gli spazi della democrazia e della partecipazione. Oltre ai soliti noti (i più deboli, le fasce più svantaggiate degli studenti) ne faranno le spese la civiltà e il progresso del Paese.
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