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Autonomia scolastica, non si usa il microscopio per osservare un elefante

Andrea Gavosto, direttore della fondazione Giovanni Agnelli, scrive su La Repubblica del 14 settembre: “La scuola dell’autonomia, voluta da Luigi Berlinguer, prevede che gli istituti abbiano ampi margini di manovra sui contenuti e gli orari degli insegnamenti, superando la rigidità dei vecchi programmi ministeriali; la gestione delle risorse umane e finanziarie, con un ruolo rafforzato dei presidi; il rinnovamento della didattica; la risposta agli specifici bisogni dei territori. L’autonomia deve però andare di pari passo con una seria rendicontazione dei risultati delle scuole al ministero e alle famiglie, a partire dagli apprendimenti: di qui la necessità di un sistema di valutazione”.

Un’asserzione disarticolata, che sterilizza lo spirito e la lettera della norma: non si sceglie il microscopio per osservare un elefante!

Ecco il perché. Il DPR 295/99 recita: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana …”. “Sostanzia” e “progettazione” sono le parole chiave: l’autonomia consiste nella rimodellazione dell’attività delle scuole.

Lo scritto glissa sulla visione d’insieme: gli “ampi margini di manovra” sono stati concessi per facilitare il governo dei processi d’apprendimento. A. Gavosto sovrappone i mezzi ai fini.

Lampante è la disattenzione alla struttura decisionale prevista dal TU 297/94. Nella formazione, nell’educazione e nell’istruzione riverbera la forma organizzativa che la legge ha introdotto nel 1974:

  • Il Consiglio di Istituto orienta il sistema scolastico per “adeguarlo al contesto”. A tal fine “elabora e adotta gli indirizzi generali” e li esprime sotto forma di competenze generali, punto d’ingresso alla progettazione formativa;
  • Il Collegio dei docenti “programma l’azione educativa” per enucleare le capacità da promuovere dai traguardi indicati dal Consiglio. A tal fine ipotizza e controlla i processi d’apprendimento: “Valuta periodicamente l’andamento complessivo dell’azione didattica per verificarne l’efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell’attività scolastica”;
  • Il Consiglio di Classe coordina gli insegnamenti per garantire la loro convergenza verso i traguardi collegialmente individuati.

La confusione e la disattenzione ostacolano il cambiamento: la mera trasmissione dei saperi disciplinari offusca le problematiche poste dalla dinamicità e imprevedibilità della società contemporanea.

La fissità e la connessa disubbidienza sono i mali della scuola, caratteri originati dalla noncuranza per le regole del sistema.

I programmi della scuola media del 1979, tuttora vigenti, comparati con la loro ordinaria applicazione nelle classi, siano d’esempio. La loro ratio è del tutto conforme alla struttura organizzativa sopra ricordata: “Tutte le discipline curriculari – sia pure in forme diverse – promuovono nell’allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l’organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati. Nella loro differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte.

Le fasi della programmazione:

  1. Individuazione delle esigenze del contesto socio-culturale e delle situazioni di partenza degli alunni;
  1. Definizione degli obiettivi finali,  intermedi, immediati che  riguardano  l’area cognitiva, l’area non cognitiva e le loro interazioni;
  1. Organizzazione delle attività e dei contenuti in relazione agli obiettivi stabiliti:
  2.    Individuazione dei metodi, materiali e sussidi adeguati;
  3.    Sistematica osservazione dei processi di apprendimento;
  4.     Processo valutativo essenziale finalizzato sia agli adeguati interventi culturali ed educativi sia alla costante verifica dell’azione didattica programmata;
  5.    Continue verifiche del processo didattico, che informino sui risultati raggiunti e servano da guida per gli interventi successivi.”

La norma prevede che il servizio scolastico evolva sequenzialmente: il problema educativo è collocato all’interno delle problematiche formative. I traguardi da conseguire sono specificati, le ipotesi d’intervento sono formulate; adempimenti che costituiscono il terreno di germinazione della progettazione dei docenti che, in essi, trova la propria vitalità. Disposizione disattesa.

Il programma della scuola media contiene un altro aspetto, auspicato dal direttore della fondazione Agnelli: la rendicontazione. La norma postula che si realizzi attraverso “la sistematica osservazione dei percorsi d’apprendimento” al fine di dirigere i “processi valutativi, essenziali” e “la costante verifica dell’azione didattica programmata”. Perché si chiede di soddisfare un’esigenza senza aver verificato il rispetto delle disposizioni esistenti?

L’assunzione di un corretto punto di vista sarebbe stato necessario per intraprendere un percorso volto alla riconquista della credibilità e della dignità dell’istituzione.

Lo scollamento tra le regole del sistema scolastico e l’ordinaria gestione avrebbe dovuto essere denunciato: prestigio e razionalità avrebbero riconquistato la scena.

 

Enrico Maranzana

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