La tre giorni di Fiera Didacta a Bari, dal 16 al 18 ottobre 2024, ha consentito una giusta e importante riflessione sul nostro attuale sistema scolastico e sulla professione del ruolo docente. Abbiamo raccolto, in esclusiva per La Tecnica della Scuola, una intervista alla prof.ssa Loredana Perla (Università degli Studi di Bari Aldo Moro e coordinatrice della Commissione ministeriale per la revisione delle Indicazioni Nazionali). A margine dell’evento dal titolo: “Leadership distribuita e merito, nuove frontiere per la professione docente” con le relazioni della prof.ssa Loredana Perla e del dirigente scolastico prof. Carlo Eufemi (membro componente del CSPI) e del dirigente tecnico prof. Francesco Greco, abbiamo intervistato la prof.ssa Perla.
Come sta cambiando il professionismo docente?
Ci sono aspetti negativi e positivi quando si tocca questo tema. E occorrerebbe metterli a fuoco entrambi. Per un verso, a seguito della legge quadro n.59/97:”Principi di decentramento delle funzioni amministrative dello Stato dal centro agli organi periferici e redistribuzione delle funzioni statuali fra Stato, Regioni ed EE.LL.” e del riconoscimento dell’autonomia scolastica (art.21), ha preso il via una lunga stagione che ha guardato al professionismo docente come a un ‘oggetto’ valutabile e controllabile esattamente come tutti gli altri. E da questa convinzione sono fiorite ipotesi di valutazione dell’agire docente rispetto alle quali la ricerca didattica ha sollevato molte obiezioni: il professionismo docente può essere valorizzato ma non ‘valutato’, almeno non secondo le modellistiche ingegneristiche applicate al funzionamento del sistema scuola. C’è una qualità del professionismo docente che può essere implementata attraverso dispositivi diversi e alcuni di noi hanno contribuito a dimostrarlo (Cfr. Perla, Valutare per valorizzare, Morcelliana, 2019). D’altro canto, e questo invece è un gran bene, l’autonomia didattica ha creato in questi decenni le condizioni per la sperimentazione di modelli di professionismo di tipo leaderistico che introducono il criterio di valutabilità ‘dal basso’, cioè dalla base delle stesse comunità scolastiche che, democraticamente, individuano i propri leader e li seguono come modelli eccellenti. Accompagno e analizzo per motivi di ricerca numerosi case study di scuole di questo tipo: funzionano perché mettono in campo strategie di valorizzazione per motivare (o rimotivare) il corpo docente. Pensiamo, solo per fare un esempio, alle sperimentazioni di corpi di middle management della scuola che prefigurano la costruzione di ruoli differenziati della professione la cui formalizzazione è oggi complicata dal totem dell’unicità della funzione docente. Bisognerà prima o poi fare i conti con la necessità di superare questo totem. I tempi sono maturi. Oppure pensiamo alle tante occasioni formative che vedono impegnati docenti con competenze specialistiche fondamentali per il funzionamento della scuola: valutative, tutoriali, digitali, di animazione. Questo corpo di docenti leader andrebbe valorizzato con politiche mirate di congrua incentivazione. Sono questi docenti eccellenti quelli che costruiscono ponti fra scuole e università, che supportano i novizi accompagnandoli con competenza e sensibilità ad avanzare i primi passi nella professione, che ‘fanno comunità’ e sono aperti a tutte le forme di innovazione didattica. Le scuole crescono grazie a questi docenti. Ma si tratta di un corpo ancora, per molti versi, ‘invisibile’.
Cosa si intende per leadership docente?
Quello della leadership è un tema molto frequentato nell’ambito degli studi sulle risorse umane (in riferimento allo sviluppo del capitale sociale) ma pochissimo indagato in relazione al professionismo docente della scuola, agli incentivi per la sua valorizzazione e ai modelli di formazione correlati. In contesto scolastico se ne è parlato sino ad oggi solo in riferimento al ruolo del dirigente. Si tratta invece di un oggetto culturale di eccezionale rilevanza in questo momento storico in cui occorre rimotivare gli insegnanti al loro ruolo e soprattutto rendere attrattiva la professione docente agli occhi dei giovani che si interrogano se intraprendere questo cammino. La scelta di questa professione non è più scontata come un tempo. L’ultimo rapporto Eurydice sugli Insegnanti in Europa evidenzia che la professione docente sta attraversando una crisi professionale, attraendo sempre meno giovani e perdendone altri già formati per diventare insegnanti. Molti sistemi educativi europei stanno soffrendo di carenze di offerta. Occorre pensare al benessere degli insegnanti, a ricentralizzare il loro ruolo dopo decenni di refrain sullo ‘studente al centro’: lo studente viene messo al centro se ci preoccupiamo del benessere professionale, organizzativo ed economico dei soggetti che se ne devono occupare, cioè gli insegnanti. Altrimenti facciamo pura retorica. In quale modo pensiamo il benessere degli insegnanti? Quali modelli di formazione offriamo loro? Fino ad oggi la professionalità dell’insegnante si è ispirata alla razionalità tecnica, secondo regole decontestualizzate e definite dall’esterno. Ora invece la professionalità dell’insegnante cresce entro un paradigma di riferimento a ‘razionalità limitata’ che richiede una postura di costante intelligibilità del reale, coniugato a flessibilità e relazionalità. La competenza di un insegnante è oggi una materia molto sofisticata; ne va riconosciuta l’importanza e vanno studiati e implementati modelli nuovi di formazione che si occupano della didattica disciplinare ma anche della formazione alla leadership.
Gli studi in proposito identificano la leadership del docente come il complesso di competenze ‘ad ampio raggio’: esercitare un’influenza positiva; individuare e ‘settare’ le giuste priorità; creare un cambiamento positivo; essere un problem-solver; promuovere le persone; tracciare visioni; praticare una disciplina del sé. Autori come Donathen e Hines identificano ulteriori competenze nella costruzione della leadership docente: comunicazione; decision-making; conoscenza dei sistemi; deontologia professionale; promozione del lavoro in team; supervisione; pianificazione; didattica e counseling; creatività e innovazione. Kouzes e Posner identificano pratiche di leadership esemplare nel saper ispirare una visione condivisa; nell’abilitare altri all’azione; nell’incoraggiare. Come si intuisce, anche i modelli formativi dovrebbero cambiare e andare in questa direzione.
Può dirci in breve come dovrebbe cambiare la scuola per consentire la valorizzazione della leadership docente?
Al cambiamento culturale occorrerebbe affiancare un cambiamento organizzativo che preveda una revisione della legge sull’autonomia e della stessa funzione docente. C’è una anomalia da sanare sulla docenza: gli insegnanti sono gli unici dipendenti pubblici laureati che sono costretti per tutta la loro vita professionale in un unico livello retributivo, il più basso fra quelli previsti a parità di titolo di studio. Andrebbe francamente sanata questa situazione. Immagino un percorso carrieristico basato sulla diversificazione di ruoli e funzioni. Ma non sta a noi ricercatori realizzarlo ma alla politica. Noi possiamo solo suggerire, in base a quanto ci restituisce la ricerca, quale potrebbe essere la direzione in cui muoversi. Voglio pensare in termini di fiducia il nuovo anno: e l’augurio che rivolgo a tutti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado è che si torni a considerare il corpo docente come il fondamento di edificazione di una nuova idea di scuola. In questa idea trovano posto la revisione delle Indicazioni ma mi auguro fortemente che trovino posto strategie concrete e condivise di valorizzazione della professionalità degli insegnanti. Senza di loro non sarà possibile edificare nessuna scuola nuova.
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