L’autonomia, dunque, sembra essere arrivata in consiglio dei ministri, cioè ad una prima sintesi organica.
Un treno dunque che parte, senza sapere come e quando arriverà.
Una bella responsabilità ed un sfida che segnerà il futuro del governo guidato dalla premier Meloni. Sapendo che diventerà, aggiungo, la cartina di tornasole che farà capire cosa intenda la stessa premier per unità nazionale, per nazione. Oggi concetto che, dalle parti del governo, è preferito a quello di repubblica, difeso dal presidente Mattarella nel discorso di fine anno.
Un richiamo alla nazione, quello del partito della Meloni, che vorrebbe segnare un idem sentire anteriore alla odierna complessità sociale, quella che mostra che oggi la “pòlis” è fatta anche di tradizioni e identità diverse, e non solo di quelle legate alla nostra storia.
Insomma, difficile oggi ripetere l’idea di nazione dei romantici dell’Ottocento, perché improponibile anzitutto per i risvolti nazionalistici che tanto male hanno fatto nel corso del novecento, compresa l’attuale tragedia ucraina, in secondo perchè è impossibile pensare che un popolo che sta velocemente invecchiando come il nostro possa chiudere porte e finestre sociali, quasi una rediviva società autarchica di mussoliniana memoria, di fronte alle sfide del nostro futuro. Che sono le sfide di una società aperta, anche se messa in crisi dalle contraddizioni della globalizzazione.
Questo sentiero dell’autonomia costringerà dunque tutti ad un chiarimento preliminare sul significato stesso di questo concetto, di questa parola-chiave, perché le definizioni oggi utilizzate non sono univoche, per la responsabilità di tenere insieme contesti e storie locali diverse e di una solidarietà che non può mai essere messa in discussione, se si vuole perseverare all’idea di una nazione coesa, seppur aggiornata secondo i nuovi parametri di cittadinanza diffusa.
I più, entrando nel merito, si stanno spingendo a parlare di LEP, cioè di livelli essenziali di prestazione, cioè di un minimo comun denominatore per i servizi e le relazioni.
Vedremo l’evoluzione delle discussioni e delle eventuali decisioni.
Resta la considerazione che, dopo la legge n.3 del 2001, votata dal centrosinistra, votata forse in gran fretta per avviare un percorso di sussidiarietà, vedendo poi i risvolti non sempre positivi, qualche correzione è attesa un po’ da tutti. Per cui la partita, come ripete il mantra di Zaia, diventa a presto punto decisiva. E non potrà più bastare l’evocazione della parola sotto forma di un manifesto, quando si andrà al dunque. Questo è il limite e la parola di tutti gli slogan. Ricordiamo, ad esempio, il silenziatore adottato, col tempo, sul concetto di federalismo, antesignano di autonomia.
Su questa strada complicata, avendo seguito le discussioni di questi vent’anni, mi ritrovo pessimista a metà.
La metà negativa immagina già i problemi che sorgeranno, o che si stanno già profilando, viste le prese di posizione. Ma c’è la metà positiva, quella che si fa forte di un concetto, essenziale in qualsiasi “etica della responsabilità”, del “cittadino come arbitro”, teorizzato da Roberto Ruffilli, senatore DC ucciso nel lontano 1988 dalle Brigate Rosse.
Perché questo è il cuore della democrazia, e questo cuore deve da un lato alimentare la corresponsabilità implicita nel concetto di autonomia, e nel contempo diventare il vero manifesto di una democrazia compiuta, con i servizi pubblici che devono tutti trovare una forma di valutazione dal basso, quindi con i cittadini come protagonisti della domanda di qualità e di efficacia.
Perché la democrazia, cantava Gaber, è nella sostanza partecipazione, mentre vediamo, purtroppo, in tanti Paesi occidentali, il progressivo venir meno del valore del sentirsi parte di un comune destino, che è un altro modo per dire patria, repubblica, nazione.
Se la sfida globale odierna è tra democrazie e autocrazie, la cruna dell’ago della autonomia può e potrà diventare davvero uno dei modi più importanti per ridisegnare la comune responsabilità del vivere assieme. Come Paese, come destino europeo, come comunità locali, come qualità di vita dei singoli cittadini.
“Cittadino come arbitro”, ma ognuno secondo la propria responsabilità. Senza più giochi di potere, difese corporative, assistenzialismi vari.
Sapranno i partiti, oggi tutti in crisi, in grado di raccogliere la sfida, di governo e di opposizione?
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