Abbiamo un ministero chiamato a coordinare il sistema nazionale di istruzione, nelle finalità e obiettivi, nelle programmazioni, nel personale e nelle risorse, lasciando agli enti locali le strutture materiali e le sedi, compreso il dimensionamento.
E lasciando poi alle singole scuole le traduzioni in loco, riassunte nei Ptof.
Pochi sanno che il nostro ministero dell’istruzione è la seconda agenzia del lavoro al mondo, per dipendenti, dopo il Pentagono.
Un mega-apparato.
Facile immaginare il grande sforzo di coordinamento, di programmazione, di investimento. Ma con quali risultati?
Al di là dei rapporti ufficiali, sappiamo qual è la situazione reale, viste le continue indagini e polemiche. Il nostro Paese, almeno sul versante dell’istruzione e dei risultati è unito o diviso?
Possiamo dire che in Italia viene garantita l’equità, la pari opportunità per tutti? Siamo davvero convinti che è la migliore scuola che oggi possiamo offrire?
È davvero una speranza di vita per i nostri giovani, capace di orientarli nel concreto delle opportunità del mondo del lavoro?
È davvero inclusiva? Siamo certi che i nostri giovani guardano all’insegnamento come prima scelta di vita, o solo come ripiego, considerandolo principalmente come ammortizzatore sociale?
Qual è il valore aggiunto del lavoro formativo che ogni giorno i tanti e tanti docenti e presidi in gamba garantiscono, rispetto al contesto famigliare e sociale? Sono davvero il valore aggiunto determinante rispetto ai diversi contesti sociali?
Si sa che le risorse sono poche, che gli stipendi sono bassi rispetto ai colleghi di altri Paesi, che le strutture sono in molti casi fatiscenti, con oltre la metà degli stabili che non ha il “CPI”, cioè il certificato prevenzione incendi? Quanto investono gli enti locali?
Domande in molti casi senza una risposta, per la mancanza di un sistema di valutazione “di sistema”.
Perché, lo, sappiamo, non ci siamo ancora dotati di un sistema di valutazione terzo, che dica come stanno le cose e valorizzi le tante eccellenze, la passione della gran parte dei presidi, dei docenti e del personale.
Eppure, nonostante queste tante domande a volte senza risposta, tanti nostri ragazzi escono dalle nostre scuole preparati, stimolati culturalmente, disponibili a mettersi in gioco, tanto da inventarsi destini in terra straniera con importanti riscontri rispetto ai loro colleghi stranieri.
Perché non organizzare una bella “Conferenza nazionale sulla scuola” che provi a chiarire queste ed altre domande?
Ricordo che il presidente Mattarella, quando fu ministro dell’istruzione nel 1989/90, organizzò una Conferenza nazionale.
Questa Conferenza venne aperta il 30 gennaio del 1990.
E già allora emerse, in particolare nella relazione di Sabino Cassese, notissimo studioso del diritto pubblico, che la prima risposta era l’autonomia scolastica, quella che entrò poi negli atti ufficiali nell’art.4 della Finanziaria 1994, con ministro la Jervolino.
Il primo governo Berlusconi lasciò cadere, allora, la delega prevista da quell’art.4, sino alla successiva stagione di Berlinguer.
Davvero, come qualcuno si permette di dire, quella indicazione fu l’inizio della decadenza della nostra scuola?
Oppure, sarebbe giusto dire che fu una riforma a metà, anzitutto per la mancanza di un sistema di valutazione terzo?
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