Nel primo giorno della settimana che potrebbe portare il rimpasto di governo, si fa sempre più complicato il rapporto tra i primi due partiti della maggioranza: Movimento 5 Stelle e Partito Democratico non se le mandano dire. A ravvivare la polemica stavolta sono stati gli interventi sulla scuola. Ha esordito la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sostenendo che “è difficile per gli studenti comprendere perché non rientrano a scuola” e che comprende “le loro frustrazione: la scuola è un diritto costituzionale se a me avessero tolto la scuola non sarei probabilmente qui”.
Secondo la titolare del MI, “le scuole sono pronte per ripartire, ma le Regioni hanno la possibilità di riaprirle o meno. Chiedo a tutti di trattare la scuola come si trattano le attività produttive”.
Oggi la didattica a distanza non può più funzionare”, ha sentenziato Azzolina andando così a puntare il dito ancora una volta contro i governatori che (tranne 3-4) hanno fatta a gara, a suo dire, per posticipare il rientro in classe degli studenti delle superiori.
A replicare alla ministra, però, non è stato un presidente di Regione qualsiasi. A risponderle per le rime è stato il segretario Pd e presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che sinora non aveva mai reso pubbliche posizioni opposte rispetto a quanto espresso da un ministro “alleato”: un segnale, senza precedenti, che la dice lunga sul fatto che più di qualcosa si è evidentemente logorato in seno all’esecutivo Conte bis.
Il leader dei dem non è andato per il sottile: “Affrontare il ritorno a scuola significa” riflettere sui diversi aspetti, “non in maniera un po’ furba dipingere come un irresponsabile chi si assume responsabilità nel governo del contagio, affrontando la sua complessità e drammaticità”, ha detto Zingaretti non nominando Azzolina ma facendo chiaramente riferimento a lei.
“Anche i membri del governo – ha continuato riferendosi probabilmente anche all’ultimo “infuocato” CdM – che intervengono senza offrire soluzioni non si rendono conto che in primo luogo danneggiano il governo di cui fanno parte”.
Poi, il segretario Pd ha sferrato la stoccata finale, rivendicando autonomia e legittimità nella sua decisione di far tornare in classe gli studenti delle scuole superiori non prima del 18 gennaio.
“Ricordo – ha sottolineato Zingaretti – che i Presidenti di Regione hanno, non il diritto, ma il dovere qualora la curva epidemiologica variasse, di assumere decisioni a tutela della salute e della vita. Lo prevede la Costituzione ed è coerente anche con gli orientamenti finora adottati dal governo”.
Cosa dobbiamo aspettarci a questo punto? Molto dipenderà dall’esito dell’imminente Consiglio dei ministri sul Recovery plan da presentare alla Commissione europea. Se Italia Viva dovesse davvero tirare via le sue due ministre, quel punto per il premier Giuseppe Conte si aprirebbe la possibilità di puntare su un rimpasto. E non sarebbe un cambio di facciata, ma sostanziale, con probabile mutamento pure della prima poltrona del dicastero dell’Istruzione a Viale Trastevere (da assegnare probabilmente a Pd o Iv).
Ma ammesso che il CdM superi anche questo scoglio, subito dopo vi sarebbe quello del nuovo Dpcm. Sul quale bisognerà prendere una decisione ancora una volta sulle scuole superiori. E non sarà semplice. Perché sempre M5S e Italia Viva continueranno a dire che non è possibile continuare con la DaD e stoppare la didattica in presenza, mentre tutto è aperto o è in procinto di esserlo. Un altro motivo di scontro.
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