Lucia Azzolina, già ministra dell’istruzione nel Governo Conti II, interviene con un lungo articolo su L’Espresso, nel quale fa il punto sulle reali necessità che la nostra scuola ha bisogno se vuole formare cittadini consapevoli ed essere punto di riferimento del paese.
Infatti, per Azzolina, la scuola italiana è sempre stata sull’orlo della crisi e ogni anno scolastico si è aperto all’insegna del “caos” che, se richiama Pirandello, denota lo stato di precarietà sia nelle nomine dei prof e sia nell’edilizia che rimane precaria come moltissimi insegnanti lasciati in anticamera anche per decenni.
Scrive infatti: “Insegnanti e personale Ata da nominare in tempo per le lezioni, edifici scolastici non sempre stabili, stipendi insufficienti, mense che non partono per tempo mettendo in difficoltà le famiglie, trasporti non sempre funzionanti, continuità̀ didattica spesso non garantita, in particolare modo, sul sostegno e mille altri piccoli e grandi problemi”
Tuttavia il problema dei problemi è sempre lo stesso: “l’Italia spende per interessi sul debito più di quanto spende per l’istruzione”. Mentre “ogni euro speso per l’istruzione è un investimento per il Paese. Ciò vale già in termini di adeguamento, manutenzione degli edifici scolastici, per la creazione di ambienti di apprendimento nei quali la tecnologia non sia solo avversata, ma diventi funzionale allo sviluppo di abilità e conoscenze, a partire dalle materie Stem, fondamentali per la competitività dell’Italia a livello globale. Ancora, proseguire il lavoro avviato in passato sulla digitalizzazione delle procedure è una spinta importante verso la trasparenza. Un processo da cui non si può tornare indietro”.
E ancora: “Investire più su asili nido e tempo pieno significa investire sulle famiglie, sul lavoro femminile, significherebbe credere nei bambini e nelle donne. Investire sulle competenze vuole dire anche valorizzare il collegamento con il mondo del lavoro, ma non per fornire manodopera a basso costo alle imprese e mettere a rischio la sicurezza dei più giovani, bensì per valorizzare le aspirazioni e le competenze di studentesse e studenti, stimolando il tessuto imprenditoriale all’innovazione continua, alla sperimentazione. Incrementare non solo il «tempo scuola», ma anche il «tempo a scuola», tramite patti educativi di comunità, come quelli con il terzo settore, che furono fondamentali per l’uscita dalla pandemia, significa altresì avere strumenti culturali, efficaci, di contrasto alla criminalità organizzata, nei contesti più difficili, sottraendo innocenti ragazze e ragazzi dalle logiche della strada, dello spaccio, della microcriminalità, dalle complessità familiari nelle quali spesso vivono”.
Ma soprattutto “Ben venga ogni aumento salariale, nella consapevolezza che si tratta, però, solo di un primo passo. Per innalzare la qualità dell’insegnamento, ad esempio, occorre restituire davvero autorevolezza alla funzione, immaginando anche percorsi di carriera e sviluppo professionale, fondati sulla valorizzazione delle straordinarie professionalità di cui le scuole dispongono. Aumenti stipendiali, possibilità di carriera, valorizzazione e valutazione delle competenze di ciascuno. È questo il vero presupposto per immaginare, di conseguenza, anche forme di formazione, abilitazione e reclutamento stabili, organizzate regolarmente, che invoglino i giovani a intraprendere questa professione, che tengano conto delle esigenze di tutti, in primo luogo di quelle delle studentesse e degli studenti e garantiscano standard professionali elevati. Occorre preparare un terreno comune, fatto di scelte di buon senso, oltre ogni spinta ideologica, che servano finanche a invertire l’inverno demografico alle porte, che rischia di lasciarci senza scuole, senza studentesse e studenti, senza futuro”.
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