Chiamata a riferire alla Camera dei deputati, presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali, in merito all’indagine conoscitiva sul processo di attuazione del “regionalismo differenziato” ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, la Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina dice no al regionalismo delle disuguaglianze.
La Ministra apre il dibattito a partire dalla cornice costituzionale, articoli 33 e 34, che affermano la tutela della libertà dell’insegnamento; l’unitarietà del sistema istruzione, garantito anche dall’esame di Stato; l’istruzione aperta a tutti, obbligatoria e uguale per tutti, tale che permetta a ogni studente meritevole, da qualunque territorio provenga, di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione.
D’altra parte, la stessa Costituzione, con gli articoli 116 e 117, evidenzia la Ministra, riconosce le istanze dei territori.
Su questo quadro si inserisce il riferimento ai percorsi verso l’autonomia differenziata già intrapresi dalle regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, che hanno stipulato con lo Stato degli accordi preliminari.
Ma la Ministra è dura, specie nell’analisi delle richieste del Veneto e della Lombardia, le cui velleità autonomistiche spaziano dalle questioni normative a quelle organizzative, amministrative, di competenza legislativa in materia di edilizia scolastica, ecc.
In particolare la Ministra si sofferma sulla questione della gestione dell’accesso alla professione del personale scolastico, che determinerebbe un vero e proprio doppio binario, con dirigenti della stessa regione appartenenti a sistemi diversi. All’interno di una stessa scuola avremmo personale iscritto a ruolo nazionale e personale iscritto a ruolo regionale, con tutto ciò che ne deriva.
Insomma, fatti salvi solo i livelli essenziali del Sistema istruzione, attribuiti allo Stato, il resto andrebbe alle Regioni, di fatto l’intero governo del sistema istruzione, contesta la Ministra: la materia della formazione docenti, la disciplina dei sistemi di apprendistato, la disciplina della programmazione della rete scolastica, della gestione e distribuzione degli organici, la disciplina relativa alla parità scolastica, la disciplina degli organi collegiali della scuola, la disciplina dell’istruzione degli adulti, la disciplina degli Its, e così via.
E si avvia alla conclusione, la Ministra, ricordando che il delicato contesto costituzionale e il dibattito politico avevano già condotto a un ripensamento degli accordi sul regionalismo differenziato e del ruolo che deve avere lo Stato rispetto alle istanze regionali.
Afferma la titolare dell’istruzione: “Alla luce di quanto espresso è evidente che qualsiasi analisi di definizione regionale delle competenze non può prescindere dalla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e i meccanismi perequativi. Il quadro costituzionale ci guida, in una situazione complessa, verso interessi unitari ed esprimibili solo a livello nazionale.”
E chiama in causa la Corte Costituzionale, sentenza n. 200 del 2009, a garanzia di un’equa conciliazione tra le due istanze, quella nazionale e quella regionale: “La Corte Costituzionale ha ricordato che l’obbligo all’istruzione appartiene alle disposizioni statali che definiscono lo Stato come sistema portante e che richiedono di essere applicate in modo uniforme, tale che si garantisca un’offerta formativa omogena, per la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che usufruiscono del sistema di istruzione”.
E continua: “La diseguaglianza che già in parte esiste tra i livelli di sviluppo dei diversi territori del nostro Paese induce a sconsigliare un sistema di istruzione differenziato, in un’ottica di uguaglianza sostanziale, che significa parità nelle condizioni di partenza e nella mobilità sociale. Mettere a rischio strutturalmente questa parità equivale a frustrare le aspettative di miglioramento delle condizioni di provenienza per i nostri studenti meritevoli. Il Paese deve potere attingere i migliori dal bacino più ampio possibile.”
E conclude: “La valutazione delle istanze regionali non può prescindere dalla definizione rigorosa di ambiti che lo Stato deve trattenere integralmente, al fine di scongiurare fenomeni discriminatori, specie in frangenti critici come quello attuale; non è possibile immaginare un regionalismo delle disuguaglianze. Solo delimitata tale cornice potremo dare seguito alle istanze di valorizzazione delle specificità regionali. Tuttavia non potranno mai ammettersi quelle spinte che, anziché di differenziazione adattativa alle esigenze del territorio regionale, appaiono marciare nella direzione di una specialità da intendersi quale inaccettabile, netta rescissione dal sistema nazionale di istruzione e formazione.”
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