Un convegno è stato organizzato a Roma dal titolo: “Baby gang devianza, il racconto di un fenomeno sociale tra cronaca e deontologia”.
Ma si tratta pure, vista la discussione intorno al codice deontologico per i giornalisti, di imprimere “una svolta nella nostra informazione, prima di questa data non esistevano carte deontologiche”.
E proprio sul racconto mediatico sul fenomeno della criminalità minorile, la Garante dell’infanzia, chiede ai giornalisti di lavorare con sempre più attenzione e accuratezza.
“Parliamo di boom baby criminali ma in realtà quello che manca è una reale fotografia dell’esistente – spiega -. Servono dati statistici per capire qual è la dimensione del fenomeno. Questa è una, prima criticità importante perché sapere di cosa parliamo è il presupposto per porre in essere politiche di intervento serie e strutturate. Dobbiamo sapere chi sono i ragazzi autori dei fatti devianti e criminali, da quale contesto sociale e familiare provengono, quale è lo stato di precarietà lavorativa o il tasso di istruzione”.
Inoltre “dietro ogni ragazzo che delinque c’è una responsabilità degli adulti”. Per questo bisogna intervenire sugli adulti che sono corresponsabili, sulla famiglia, sulla scuola e sui servizi del territorio. Il problema è l’assenza di connessioni tra le reti istituzionali. La scuola da sola nulla può fare. Assistiamo a progetti anche molto belli che nascono e muoiono, bisogna strutturare reti permanenti che consentano il flusso di comunicazione per amplificare le connessioni. Non si può affrontare il fenomeno solo in maniera repressiva. Alcune proposte, come abbassare l’età della punibilità dei minori potrebbero essere addirittura controproducenti”.
Dice a sua volta ilprocuratore presso il Tribunale per i minorenni di Napoli: “I ragazzi che passano dal tribunale dei minorenni di Napoli provengono da determinati quartieri: questo vuol dire che o c’è una contaminazione di quartiere o si tratta di figli di persone che hanno avuto già problemi con la giustizia. Quello che vediamo,, inoltre. È che si tratta di famiglie spesso disgregate e di ragazzi che hanno percorsi scolastici disastrosi o accidentati. C’è la necessità di un maggiore collegamento tra i vari soggetti che operano sul fenomeno, a partire dalla scuola”.
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