È ancora emergenza “baby gang”. La stampa è piena di episodi (anche terribili) accaduti ogni giorno in tutta la Penisola.
L’ultimo a Cremona, nell’opulenta Lombardia: una classe intera di Scuola Superiore era tenuta sotto scacco dalle minacce di una gang di giovani criminali che taglieggiavano gli studenti minacciandoli (con azioni dimostrative anche sui mezzi pubblici) di massacrarli di botte. Fortunatamente i Carabinieri hanno sbaragliato la banda, che per pianificare pestaggi e zuffe in città usava una pagina Instagram intitolata “Cremona.dissing” (la parola “dissing” significa “mancanza di rispetto”, ma designa anche un genere specifico di musica rap). Mettendo in rete immagini e filmati delle proprie bravate — e vantandosi di pestaggi e risse, che chiamavano “jump” — i violenti (e poco astuti) componenti della gang si sono fatti beccare. Per sette di loro è scattata la custodia cautelare per “elevatissimo rischio di recidiva”; 18 sono stati denunciati per aggressione, estorsione, rapina e spaccio. Il 18 aprile scorso avevano assaltato un pick-up che trasportava altri ragazzi, picchiandone barbaramente il conducente e rubandogli il cellulare.
Tantissimi i casi in tutta Italia. Lo scorso 5 luglio a Pieve Emanuele (provincia di Milano) dodici giovanissimi hanno devastato il bar della stazione, rubando birre e pestando il titolare. A Roma nel 2017 alcuni minorenni terrorizzarono letteralmente il popolare quartiere di Primavalle, vandalizzando autobus, scuole e negozi, rubando e rapinando; finché il più violento di loro fu arrestato grazie anche ad alcune testimonianze. Da quel momento i familiari dei ragazzi che avevano testimoniato furono violentemente perseguitati dai parenti del piccolo boss. Il 12 giugno scorso, finalmente, dopo accurate indagini, i responsabili dello stalking sono stati incarcerati.
Ancora nel quartiere Appio Claudio della Capitale, nell’ultimo mese ogni giorno c’è stata almeno un’aggressione violenta contro adolescenti inermi. Lunedì 1° luglio sono giunte ben quattro denunce. Un quindicenne è stato ospedalizzato per le percosse ricevute nel bellissimo Parco degli Acquedotti, dove alcuni energumeni, giovani come lui, lo hanno pure derubato. Molte le denunce genitoriali al Commissariato “Tuscolano” per fatti analoghi. Il più cattivo dei “bad boys” sarebbe un tredicenne.
Il fenomeno è sempre più di stringente attualità: tanto che nelle sale cinematografiche sta per uscire un film sull’argomento — intitolato appunto “Baby Gang” — ambientato proprio a Roma. Ma il problema — ripetiamo — investe l’intero Paese, che sta rapidamente (anche in questo) seguendo i Paesi anglosassoni, ove da sempre le baby gang sono un leitmotiv ormai trionfante su scala mondiale.
Certo, non è una novità degli ultimi anni. Già un ventennio fa si contavano a decine di migliaia ogni anno gli atti di vandalismo su mezzi pubblici, cabine telefoniche, treni e strutture ferroviarie. Danni per miliardi di euro. Aumentano però i casi di reati contro la persona: diffamazioni, ingiurie, lesioni, violenze d’ogni tipo. La tattica di attacco consiste di solito nel provocare un litigio con la vittima prescelta, aggredendola poi fisicamente in modo rapido e imprevedibile.
Spesso i giovanissimi decidono consapevolmente di entrare in una gang per guadagnar soldi o per sentirsi più “fichi”. Complice, naturalmente, un evidente disadattamento familiare, scolastico e valoriale.
Un tempo si credeva che una delle cause della devianza giovanile fosse l’eccessiva severità della Scuola, classista e selettiva. Ma si può dire lo stesso per la Scuola di oggi? Molto spesso i “baby gangster” sono ragazzi “di buona famiglia”: dunque non proletari bocciati da scuole iperselettive e classiste, ma rampolli di gente ricca, che hanno tutto quanto si possa desiderare, annoiati e satolli. Cercano nuove emozioni, vogliono sentirsi grandi, vincenti. Cercano l’ebbrezza di sentirsi “qualcuno”, in un mondo di adulti che troppo spesso non premia chi (come i docenti) è capace di costruire con fatica, né chi studia, né chi merita davvero la stima altrui per le proprie capacità e i propri meriti.
Più volte, su questa testata, abbiamo sottolineato quanto la Scuola italiana sia in molte circostanze ridotta ad esser l’ombra di se stessa, tra PTOF, PON, progetti, RAV, prove INVALSI, piani di miglioramento, “open day”, viaggi d’istruzione (o distruzione?), “olimpiadi” di tutto lo scibile umano, alternanza scuola-lavoro, didattica per competenze, “flipped classroom”, docenti-facilitatori, pedagogie differenziate, apprendimenti progetto e via fantasticando. Risultato: tutti promossi dalla primaria alla maturità, anche se non sanno coniugare il passato remoto di nessun verbo italiano, né moltiplicare per due, né collocare cronologicamente il Risorgimento, né trovare l’Italia nel planisfero, né comprender cause e gravità del global warming.
Forse le baby gang sono solo una risposta (abominevole ma — tutto sommato — “umana”) a questo vergognoso e putrescente piattume (che fra non molti anni pagheremo tutti)?
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