I lettori ci scrivono

Babysitteraggio a scuola

La figura dell’insegnante e la sua professionalità non sono purtroppo più quelle di un tempo, in quanto sono profondamente mutate per adattarsi alle diverse esigenze e alle modificazioni della società. Sembra che siamo immersi in una società di rammolliti, di ragazzi che non possiedono nemmeno le competenze per compiere le azioni più elementari della vita quotidiana come lavarsi accuratamente le mani, allacciarsi le scarpe, appendere bene gli abiti sugli appositi appendini, fare ricreazione stando seduti sui banchi.

A tutto ciò dovrebbe pensarci la famiglia perché è lì che il ragazzo trascorre la maggior parte del tempo, mentre a scuola passa solo una parte della sua giornata e il docente deve pensare a svolgere la sua progettazione, a spiegare, a interrogare, a valutare.

Invece il più delle volte l’insegnante deve ricoprire il ruolo del “babysitter”, di colui che, anziché, dedicarsi alla formazione e all’apprendimento dei ragazzi deve aiutarli compiere le azioni più elementari del vivere quotidiano. Ma allora si può capire quando si devono responsabilizzare questi nostri ragazzi, quando devono crescere, quando devono diventare adulti. Sembra che non lo diventeranno mai, che resteranno degli eterni fanciulli, che in età adulta penseranno ancora che la vita è un continuo gioco, invece, che una palestra in cui si affrontano giorno dopo giorno i più svariati problemi. Accanto ai ragazzi anche i genitori devono apprendere il mestiere di essere genitori, in quanto devono accompagnare i propri figli in un percorso che li porti a diventare responsabili, autonomi, indipendenti, insomma abituarli a sapersi muovere nel mondo,

Di fronte a quali situazioni si trovano i docenti? Si trovano nella condizione non si insegnare, ma di fare il “babysitter” venendo continuamente incontro alle richieste degli alunni che non conoscono ancora le regole e le azioni più elementari del vivere quotidiano che noi adulti di una volta abbiamo imparato abbastanza presto perché i genitori di un tempo ci responsabilizzavano, ci insegnavano le regole e ci aiutavano a diventare grandi per poi farci camminare con le nostre gambe.

Ora, invece, i ragazzi non sanno allacciarsi le scarpe, non sanno lavarsi accuratamente le mani, non sanno stare comodamente seduti, ma sanno, da piccoli, utilizzare il cellulare, conoscono i videogiochi già da quando sono ancora in fasce, sono, insomma internauti e tecnologici da subito.

La vita, purtroppo, non è fatta solo di videogiochi, di cellulare, è fatta di tante cose belle che sono i sentimenti, le esperienze individuali che vanno vissute e assaporate fino in fondo, altrimenti la vita diventa soltanto un trascorrere il tempo nell’inerzia, nell’oziosità senza capirci un’acca.

È, dunque, il momento di aprire gli occhi, di vedere in faccia il mondo e la realtà che ci circonda, perché andando avanti di questo passo si avrà una società di individui che non sapranno nemmeno porsi le più elementari domande dell’esistenza, muoversi nel mondo, interagire con gli altri. Sembra quasi che facciamo il passo del gambero: mentre proiettiamo i nostri ragazzi nel futuro, con un colpo di spugna li rimandiamo indietro nei secoli, se non addirittura nell’età preistorica.

di Mario Bocola

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