In che modo un nuovo Governo e il nuovo Parlamento potrebbero risollevare le sorti della scuola italiana? Anche prima di conoscere l’esito del voto mi ero convinto che tanto la lentezza del processo legislativo, quanto la motivata esasperazione della scuola, consigliassero una partenza soft, un approccio amministrativo e non legislativo necessario a riconquistare la fiducia, rilanciare la partecipazione e cosí preparare il terreno alle necessarie riforme legislative (come quella della governance, dei cicli scolastici, dello stato giuridico e del reclutamento di dirigenti, docenti, ATA). Dopo il voto, di fronte a una legislatura che si annuncia breve e difficile, l’unica ricetta praticabile per il rilancio della scuola italiana appare a maggior ragione basata sulla Costituzione e sulle leggi esistenti: sfruttarne le potenzialità e, anzitutto, rispettarle.
Il ripristino della legalità, anche a scuola, è infatti il primo passo per uscire dal caos ed evitare il tangibile rischio di regresso verso il sottosviluppo. Nella scuola sono ormai molte le illegalità flagranti: dall’accorpamento forzato in istituti comprensivi con dimensioni minime dettate dal centro senza il concerto delle Regioni (ripetutamente bocciato dalla Corte Costituzionale), alle molte cause perse dal Miur di fronte ai Tar (per l’insufficiente sostegno ai diversamente abili o per lo “spezzatino” utilizzato per le 40 ore del tempo pieno nella scuola primaria, ad esempio), alle illegalità croniche, come i crediti dello Stato verso le scuole (una media di 100mila euro a istituto) o gli edifici scolastici fuori norma (circa la metà).
A nessuna di queste emergenze i Governi Berlusconi e Monti hanno posto rimedio: nemmeno a quelle determinate da provvedimenti giudiziari, in barba al dlgs 165/2001 che (art.61) impone al Governo procedure d’urgenza per ottemperarvi. Certo in tutti gli esempi fatti restituire legalità implica, nell’immediato, risorse da reperire. Si tratta però, nella maggior parte dei casi, di impegni straordinari e transitori che, nel lungo periodo, determinano risparmi. Il superamento del “disordine costituito” di un Ministero che non riesce a programmare il fabbisogno di docenti, per oltre dieci anni non fa concorsi e continua a coprire molti posti vacanti e disponibili con personale a tempo determinato produrrebbe infatti, a regime, il risparmio di importanti risorse umane e finanziarie dissipate nel caotico accavallarsi di ordini e contrordini all’inizio di ogni anno scolastico, nel continuo alternarsi di insegnanti sulla stessa classe, nel gigantesco contenzioso giuridico che ogni illegalità porta con sé, nei gironi danteschi delle graduatorie: fenomeni, questi, sconosciuti nel resto del mondo civile.
1. Rispettare la legalità implicherebbe, per il nuovo Governo, uno stile amministrativo europeo che, in Italia, risulterebbe piú rivoluzionario di ogni riforma epocale. Un esempio? il Ministero, previsto in modo affidabile il fabbisogno, dovrebbe ogni anno immettere in ruolo (secondo le regole vigenti, fino a che non ce ne saranno di nuove) un numero di insegnanti abilitati corrispondente ai posti vacanti e disponibili. Un altro esempio? il Ministero dovrebbe rispettare l’obbligo di bandire regolarmente nel tempo i concorsi per l’accesso al ruolo e le selezioni per i corsi di abilitazione degli insegnanti, spezzando finalmente –come pareva volesse fare Profumo, finché non ha sfasciato tutto con il Tfa speciale– l’iniqua spirale di precariato e sanatorie che incombe come una maledizione sulla scuola italiana.
Oltre al ripristino della legalità, per rilanciare e rimotivare la scuola, preparando il terreno (politico, culturale, sociale) alle riforme legislative da avviare dopo i primi cento giorni (che riguardano governance, cicli scolastici, stato giuridico, reclutamento), esistono altri atti governativi possibili a legislazione invariata. Quali?
2. Si potrebbe anzitutto rifinanziare la legge 440/1997, crollata negli ultimi anni a un terzo del valore nominale del 2001. Se questo rifinanziamento fosse sostanziale, il 20% e 30% di offerta didattica aggiuntiva prevista dai nuovi regolamenti delle superiori si trasformerebbero da presa in giro in opportunità; sarebbero possibili molti altri arricchimenti qualitativi e quantitativi dell’offerta formativa, dalla programmazione e integrazione territoriale delle diverse offerte formative per il contrasto alla dispersione, alla didattica aggiuntiva per l’italiano come lingua straniera a tutte le età, al potenziamento del sostegno alla diversa abilità. Reti di scuole (già previste dalle leggi vigenti), ricerca didattica, formazione in servizio di insegnanti e dirigenti potrebbero beneficiarne.
3. Al rilancio dell’autonomia scolastica nel contesto delle autonomie territoriali contribuirebbe in modo cruciale l’attuazione di due norme rimaste sulla carta: il titolo V della Costituzione in materia di istruzione, cui manca “solo” l’intesa fra Stato e Regioni, l’organico funzionale (introdotto da Monti nel “Milleproroghe 2012” con il nome di organico dell’autonomia), cui manca “solo” il finanziamento. In questo contesto l’INDIRE potrebbe, attraverso un’intesa con le Regioni, ricuperare un’articolazione territoriale piú coerente con il titolo V e meno bizzarra dell’attuale tripartizione, contribuendo, con laboratori appoggiati a reti di scuole o reti di enti locali, al sostegno all’autonomia e alla circolazione delle buone pratiche.
4. Prima che sia approvata l’intesa Stato-¬-Regioni e siano definiti i LEP (livelli essenziali delle prestazioni) nel contesto del cosiddetto federalismo fiscale, l’allentamento del patto di stabilità interno per le assunzioni nei servizi scolastici e educativi e per l’edilizia scolastica rappresenterebbe un’altra possibile boccata di ossigeno per la scuola; purché, naturalmente, le dotazioni finanziarie e le capacità impositive autonome degli Enti Locali siano nel frattempo rilanciate anziché ulteriormente umiliate.
5. Rimessa in marcia l’autonomia scolastica boicottata da almeno un quinquennio di tagli e centralismo ministeriale, riconquistata la fiducia della scuola col percorso di rinnovamento amministrativo qui abbozzato, anche la riforma dell’autogoverno o la valutazione censuaria da parte dell’INVALSI troverebbero da parte della scuola, ne sono certo, accoglienza migliore di oggi.
6. Un Governo che abbia credibilmente fatto pace con la scuola e con gli insegnanti, rimediando a qualcuno degli sfregi loro inflitti dai precedenti governi, potrebbe perfino approfittare della scadenza del contratto collettivo nazionale della scuola per tentare un’ampia e seria consultazione sull’orario di servizio e sul trattamento economico, aperta a idee innovative in linea con gli standard europei.
Tutti i provvedimenti cui ho appena accennato sono possibili a legislazione invariata, sí, ma nel senso che incidono “solo” sulle tabelle del documento di economia e finanza (DEF) e della legge di stabilità. Forse il loro insieme sarebbe insostenibile, nei primi cento giorni, anche per un Governo che volesse davvero mettere al centro la scuola, ricuperando il massimo di risorse possibile nelle condizioni date. Un sottoinsieme di questi provvedimenti è, invece, certamente sostenibile; e l’insieme completo serve, in ogni caso, a suggerire una visione e una direzione realistica di rilancio per la scuola italiana
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