Politica scolastica

Balzano: in carcere la rieducazione non esiste

Marco Balzano, scrittore affermato, ha vinto il Premio Campiello col suo romanzo “L’ultimo arrivato” (Sellerio), e docente, saltuariamente va nelle carceri a insegnare ai detenuti, raccogliendone impressioni assai negative sul loro trattamento: “È qui, nelle carceri che, ancora di più e prima di tutto, serve la parola, e la parola può esprimere una funzione non tanto consolatrice o terapeutica (come va troppo spesso di moda) ma una funzione autoanalitica e narrativa, nel senso di racconto di sé per prenderne meglio coscienza”.

Ma soprattutto sottolinea, intervistato da Vita.it,  che ci sono gruppi troppo eterogenei per preparazione, per pena da scontare, per cui le classi si smembrano continuamente per i trasferimenti e le persone non seguono con continuità. Questo rende molto difficile portare avanti un progetto scolastico capillare, tradizionale. 

“Secondo me una delle più grandi storture del sistema sta nel fatto che i detenuti, durante le lezioni, non sono sorvegliati a vista ma sono con il loro docente, quindi è un relativo spazio di libertà, perlomeno di libertà di discussione, di libertà interiore. Ma sappiamo benissimo che l’insegnante, anche se segue una persona per uno o più anni, non ha nessun diritto di espressione, di giudizio sul suo profilo, che viene invece deciso dai giudici che non l’hanno mai visto. Questo lo trovo semplicemente abnorme”.

Evidentemente in carcere non si può entrare in classe e dire: “Oggi spiego Machiavelli”. Ma si può entrare in classe e chiedere se il fine giustifica i mezzi, partendo da qui si può arrivare a Machiavelli.

In carcere va cercato un modo diverso di impostare le lezioni. “Va trovato un senso. In una situazione di disagio, di sofferenza, di intolleranza qual è quella della clausura forzata, della costrizione è umanamente possibile che una persona, per degnarti della sua attenzione o per cercare di recuperare la sua attenzione, abbia uno stimolo forte”.

Dice ancora lo scrittore: “Secondo me, è proprio il sistema che non vaLa scuola in carcere è una grande Cenerentola, non gode di nessuna considerazioneLa parola “rieducazione” in carcere non esiste ancora, se non praticata in singoli momenti da menti illuminate, da persone che dedicano volontariamente il loro tempo. Chi è che riesce a imparare, a rieducarsi, a capirsi in uno stato di costrizione che è, di per sé, uno stato di ulteriore travaglio? Si aumenta il rischio di non recuperare. Quando uno Stato rinuncia a recuperare, che sia negli anni della scuola, che sia nella sanità, che sia nella legge, che sia nelle condizioni di povertà nell’ambito sociale, evidentemente sta alzando una bandiera bianca importantissima.

E conclude: “Non pare che questo Governo sia particolarmente interessato a scongiurare i tanti suicidi che avvengono nelle carceri.  Anzi, l’immagine che ci vuole restituire è che, se sbagli, in carcere ci entri, anche se hai 16 anni e non 18. Quando si vuole far vedere la propria forza solo sull’ultimo anello della catena, funziona per quella platea di votanti. Ma si interviene sempre sull’ultimo anello della catena, quello che andrebbe scongiurato”.

Pasquale Almirante

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