La drammatica situazione che sta rendendo note al mondo intero le tragiche conseguenze di una guerra, in luoghi e aree molto vicine a paesi da anni impegnate nel portare avanti processi di pace e accordi, non può farci dimenticare che nel pianeta ci sono molti conflitti – in maggioranza guerre civili – che coinvolgono i bambini e da decenni mettono molte famiglie in fuga, rendono i percorsi di istruzione instabili e, non da non dimenticare mai, fanno proliferare l’impiego di soldati bambini.
Secondo Henrietta Fore, direttore esecutivo dell’Unicef, sono oltre 30.000 i bambini afghani uccisi nei conflitti che dal 2005 funestano la storia del Paese, che conta il numero più alto di vittime tra i giovanissimi, ben il 27% a livello globale. Anche Yemen, Siria ed Etiopia settentrionale sono gli altri luoghi in cui i bambini hanno pagato il più alto prezzo, dovuto al protrarsi di conflitti armati, violenze e insicurezza.
Le Nazioni Unite hanno verificato 266.000 casi di gravi violazioni contro i bambini in più di 30 teatri di conflitto in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina negli ultimi 16 anni, monitoraggio che non esclude che le cifre reali siano molto più drammatiche. L’Unicef ha affermato anche che finora non sono disponibili dati sulle violazioni contro i bambini del 2021, ma nel 2020 sono state verificate 26.425 gravi violenze contro i più deboli.
Sul sito www.guerrenelmondo.it si legge che ad oggi sono 31 gli Stati africani coinvolti, dalla Libia al Sudan, dal Mali al Mozambico. Si tratta in prevalenza di guerre e guerriglie tra gruppi ribelli e regolari e tra gruppi religiosi. Soltanto in questa settimana nella Repubblica Democratica del Congo oltre 60 persone hanno perso la vita in un attacco ribelle del gruppo ADF nell’est del paese. Non è migliore la situazione in Asia, dove i paesi in conflitto sono 16, tra cui la più tragicamente nota è la situazione dell’Afghanistan, a cui si aggiunge quella – spesso dimenticata – della Birmania-Myanmar. Ma anche in India e nelle Filippine sono numerosi gli scontri che vedono impegnati oltre 60 gruppi, regolari e ribelli, movimenti religiosi e separatisti.
Il Medio Oriente vede numerosi punti caldi, anche questi molto noti, dove si svolgono costanti azioni militari di guerra, dalla Syria alla Striscia di Gaza. In Sud America gruppi regolari e ribelli da anni si combattono in Colombia, in Messico e anche in Venezuela.
I dati, non facilmente confermabili, dicono – secondo l’Unicef – che oltre un miliardo di bambini vivono in 42 paesi colpiti, dal 2002 ad oggi, da violenti conflitti. Si stima siano 14,2 milioni i rifugiati in tutto il mondo, di cui il 41 % di età inferiore a 18 anni. E sono oltre 25 milioni gli sfollati a causa dei conflitti, di cui il 36 % sono minorenni.
Vivere in zone di guerra significa anche, inoltre, vivere esposti a mine e munizioni a grappolo, mine antiuomo e bombe inesplose, molto spesso una minaccia quotidiana per l’infanzia. Secondo Intersos sono soprattutto i bambini le vittime di residui bellici e coloro che sopravvivono non sono in grado di frequentare la scuola e finiscono per abbandonare gli studi. L’invalidità rende anche difficile trovare lavoro nelle zone già fortemente debilitate dalla guerra.
Secondo l’UNICEF, si stima che 250.000 bambini siano coinvolti in conflitti in tutto il mondo: sono usati come combattenti, messaggeri, spie, facchini, cuochi, e le ragazze, in particolare, sono costrette a prestare servizi sessuali, privandole dei loro diritti e dell’infanzia.
Si è celebrata a febbraio la Giornata internazionale contro l’uso dei bambini in situazioni di conflitto, che ha ricordato chetra il 2005 e il 2020, sono stati verificati più di 93.000 casi di bambini reclutati e utilizzati dalle parti in conflitto, anche se si ritiene che il numero reale di casi sia molto più alto.
Secondo l’ultimo Rapporto annuale del Segretario Generale dell’Onu su minorenni e conflitti armati, nel 2020 le Nazioni Unite hanno verificato il reclutamento e l’uso di 8.521 bambini, e aumenta il numero delle bambine e delle ragazze reclutate.
Le conseguenze dei conflitti determina anche l’aumento di bambini in fuga non accompagnati e di orfani, che sfuggono a controlli numerici. Cessa quasi sempre la frequenza scolastica: a causa dei continui scontri le scuole chiudono per mesi, mancano gli insegnanti e i genitori tengono i figli a casa perché temono per la loro incolumità. Nei periodi di guerra, gli edifici scolastici sono inoltre sovente utilizzati come alloggi per le truppe o per i profughi interni. Conclusa la pace, può volerci ancora moltissimo tempo prima che il sistema scolastico torni alla normalità. Per bambine in zone di guerra, non solo sono assai più frequenti gli abusi sessuali, ma quasi sempre smettono di andare a scuola, perché impegnate ad occuparsi dei fratelli e delle sorelle più piccoli.
È questa la domanda, di fronte a quella tra Russia e Ucraina, e al quadro appena delineato, che pongono e si pongono molti bambini. Serve un atteggiamento propositivo ai grandi avvenimenti, dicono gli esperti di Emergency, che sono spesso invitati nelle scuole proprio per parlare di guerra che aiuta i bambini a non subire i fatti e le immagini: azioni e comportamenti sono gli strumenti per agire verso gli altri, da applicare anche nella sfera relazionale del bambino.
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