Quando un bambino fallisce non dovremmo criticarlo. In questo modo miniamo la sua autostima e lo convinceremo che non ce la può fare. Dietro questa frase apparentemente semplice banale, c’è un discorso di approccio pedagogico molto complesso da portare avanti.
Il primo presupposto, valido sempre, sia per i bambini che per gli adulti è che se una persona sbaglia o non raggiunge il risultato sperato non vuol dire che sia un fallito. La critica deve aiutare a capire, semmai, dove si è sbagliato, ai processi e alle azioni che hanno portato alla sconfitta.
Come è d’altro canto sbagliato nascondere ai bambini il fallimento, per paura di ledere alla loro autostima; mentre invece in questo modo li rendiamo inconsapevoli dei propri limiti e li mettiamo in difficoltà, quando più grandi dovranno confrontarsi da soli con il mondo intero.
L’approccio corretto indicato dagli esperti è quello di fargli conoscere e riconoscere una sconfitta.
È giusto, in sostanza, che il fallimento sia riconosciuto, dal bambino e da noi grandi. Riconosciuto e vissuto, non tanto come una dimostrazione di scarso valore ma come un’opportunità per crescere come persona. Fallire fa parte della vita; anzi, fallire è necessario per riuscire a raggiungere i propri obiettivi, una vera e propria opportunità di crescita. In America si usa dire: fail fast, fail often, fallisci in fretta, fallisci presto.
Come riportato in un interessante articolo su Il Portale dei bambini , per “imparare a fallire rapidamente e poi rimettersi in piedi, ci vuole allenamento. Un allenamento difficile, ma necessario per diventare forti davvero”.
Dietro il fallimento c’è dolore e sofferenza, ma è compito di insegnanti ed educatori insegnare loro che dietro ogni sconfitta si ci allena proprio a gestire la paura, la rabbia e lo sconforto.
I nuovi approcci del coaching parlano del “muscolo del coraggio”. Diventare coraggiosi è una condizione necessaria per riuscire a superare i propri fallimenti. Vanno posti degli obiettivi ambiziosi e provare a raggiungerli. In questo modo aumenteremo la nostra capacità di successo in caso di raggiungimento o avremo usato l’obiettivo fallito come allenamento utile per la sfida successiva.
Una ricerca pubblicata su Educational Psycology condotta su 2500 alunni negli Stati Uniti, sostiene che per migliorare la condotta e il clima in classe i bambini andrebbero lodati per i comportamenti positivi invece che essere solo rimproverati per quelli negativi. La ricompensa per aver raggiunto un obiettivo, essersi comportato secondo le attese, aver fatto bene serve a premiare lo sforzo fatto e fa crescere l’autostima. In particolare, i risultati hanno evidenziato una maggior concentrazione degli studenti nelle classi in cui gli elogi erano maggiori dei rimproveri.
Ovviamente è importante mantenere un giusto equilibrio perché un approccio che tende ad elogiare in maniera eccessiva diventa del tutto controproducente.
In sintesi, la ricetta del buon educatore potrebbe essere questa: elogiare e premiare in maniera equilibrata i successi e i comportamenti positivi, gestire e usare la sconfitta per crescere dagli errori commessi (che vanno individuati ed analizzati) ed allenare il muscolo del coraggio.
Ma come tutte le ricette, serve il tocco personalizzato del cuoco!
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