I primi bambini ucraini stanno arrivando in Italia e il Ministero dell’Istruzione ha già allertato le scuole che nelle prossime settimane potrebbero essere chiamate a mettersi in modo per garantire accoglienza in un ambiente educativo adeguato.
Cosa si potrà e si dovrà fare?
Non è facile rispondere alla domanda anche perché si tratta di una situazione del tutto inedita.
Ne parliamo con Raffaele Iosa, ex ispettore scolastico, esperto di pedagogia dell’inclusione.
Secondo lei quali saranno gli aspetti più problematici da affrontare?
Proviamo innanzitutto a pensare in quali condizioni questi bambini e questi ragazzi stanno arrivando e arriveranno da noi.
Avremo forse 10.000 bambini e ragazzi ucraini che entreranno in Italia dopo drammatiche fughe. Dunque bambini profughi di guerra, con il groviglio di angosce, rancori, odio, paura che questo comporta. Teniamone conto: non è per amore e gioia che arrivano da noi.
La difficoltà maggiore, forse, è anche legata al fatto che non abbiamo nessuna certezza sui tempi della loro permanenza in Italia.
Infatti è proprio così, per il momento è troppo presto, per sapere quale sarà il loro destino a breve. Resteranno alcuni mesi? Resteranno anche di più? Resteranno per sempre? Chissà. L’incertezza è naturalmente grande e proprio questo mi obbliga a suggerire comportamenti riflessivi prudenti e non spontaneistici da parte degli italiani, in particolare degli insegnanti e dei servizi sociali del territorio, che siano di matura saggezza ed equilibrio.
Mi pare di capire che dovremo essere accoglienti ma tenendo conto che la loro mente e il loro cuore sono lontani da qui
Proprio così dovremo evitare errori di bontà e generosità che (in buona fede) rischierebbero di sradicarli dalle loro storie in una condizione esistenziale a rischio apolide.
Il nostro aiuto non dovrà avere la pretesa di “educarli” secondo i nostri stereotipi benevoli. Dovrà essere un aiuto capace di ascolto attento, di rispetto delle loro radici, di tenerezza e di solidità per garantire a loro il superamento del trauma, per la ripresa di un pensiero autonomo sulla speranza del proprio futuro personale.
Vogliamo provare a dare qualche consiglio concreto? Come dovranno essere accolti nella prima fase?
Non è momento di far festa, né di attaccar bandierine di saluto, né salamelecchi iper-affettivi né circondarli di curiosità. Non sono da esibire. Sono di passaggio, questo stanno (giustissimamente) pensando loro. Sperano in un passaggio il più breve possibile perché prima di tutto vogliono tornare (tutti) a casa.
Gentilezza, cortesia, rispetto da parte degli insegnanti e dei compagni. Meglio se sono insieme a connazionali o con lingue simili all’ucraino. Accoglienza soprattutto di conoscenza dell’ambiente scuola, meglio se in presenza di un adulto mediatore linguistico. Poi, piano piano adattamento e inclusione con le attività della classe, anche tarata sulle cose che gli piacciono di più. I primi giorni sarà dura, non scordatelo.
Temono il futuro. Teniamone conto: non è per amore e gioia che arrivano da noi.
Come relazionarsi con gli adulti di riferimento (genitori o parenti) ?
Se hanno la mamma o parenti è indispensabile un colloquio sereno e attivo su cosa potrebbe servire sviluppare nella sua scolarizzazione in Italia. Quindi notizie sulla sua esperienza scolastica in patria, informazioni sulla sua vita sociale, sul “chi è” del bambino/a, i suoi gusti i talenti le difficoltà, e poi individuare cosa si potrebbe fare a scuola.
Quindi potremmo favorire una pratica di “continuità” con quello che ha fatto il bambino finora in patria, sviluppare alcune esperienze aggiuntive nuove, ma soprattutto di “andare avanti” con l’apprendimento per non perdere l’anno.
Come organizzare l’attività didattica in modo da facilitare il loro inserimento nelle nostre classi?
Ovviamente, più la didattica quotidiana sarà di tipo attivistico, più il bambino/a potrà trovare forme di apprendimento e relazione anche per lui attive e quindi più facilmente collocabili in una rete di relazione tra pari, di cui dovrà sentirsi a volte “più avanti” a volte “più indietro” (secondo la scuola da cui proviene) ma sempre entro una rete di reciprocità e aiuto che solleva l’anima, riduce la solitudine, crea amicizie.
Come relazionarsi con le altre “agenzie” del territorio?
Io suggerisco una progettazione a breve che vada fino a giugno per la scuola, ma anche per la prossima estate se resterà tra di noi. Quini conta molto creare patti di comunità territoriali che da subito possano, oltre la scuola, offrire opportunità nel tempo libero e nella vita sociale di aggregazione, amicizie.
A sua scelta, naturalmente, non per seduzione di quanto siamo bravi noi. Sapendo che la solitudine e il pensiero triste sarà sempre presente finchè non si saprà meglio quale sarà il suo futuro più avanti, che è (ricordiamolo sempre) prioritariamente tornare a casa.
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