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Banca d’Italia: troppi stranieri riducono la qualità della scuola pubblica

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A volte gli studi hanno dei titoli che sembrano contenere già le conclusioni: così è accaduto per “Immigrazione poco qualificata e l’espansione della scuola privata”, l’indagine realizzata da due economisti della Banca d’Italia, Davide Dottori e I-Ling Shen, dalla quale emerge che la presenza progressiva di immigrati nel nostro Paese inciderebbe, in modo negativo, sulla qualità della scuola pubblica. Facendo determinare un interesse forzato per le scuole private.
Un maggior numero di immigrati – affermano i due ricercatori – riduce la qualità media della scuola pubblica, aumentando il numero di studenti iscritti i cui genitori contribuiscono meno al finanziamento“. Un trend comune, tuttavia, a tutti i paesi Ocse (in particolare gli Stati Uniti) con maggiore partecipazione privata al finanziamento scolastico.  
Dallo studio pubblicato da Via Nazionale emerge che i genitori “scelgono sia il numero di figli sia se iscriverli alla scuola pubblica o privata sulla base della qualità dell’istruzione ricevuta e dei costi sostenuti“. Si ipotizza quindi che “la qualità dell’istruzione dipenda direttamente dalla spesa pro-capite, ovvero dal rapporto tra risorse raccolte attraverso la tassazione e numero di alunni nella scuola pubblica. Un genitore che scelga la scuola privata voterà per una tassazione minore in quanto non gode dei benefici della scuola pubblica“. Quindi, continua il rapporto, “se un numero sufficiente di genitori sceglie la scuola privata, le risorse per la scuola pubblica diminuiranno poichè crescerà la quota dell’elettorato che non vi vuole allocare risorse“.
A fronte di questa premessa, scatta la pericolosa equazione immigrato uguale causa di decremento del livello della didattica della scuola pubblica: “un maggior numero di immigrati – continua il rapporto – riduce la qualità media della scuola pubblica, aumentando il numero di studenti iscritti i cui genitori contribuiscono meno al finanziamento. Inoltre, non avendo diritto di voto, non sono in grado di influenzare la maggioranza verso un aumento delle aliquote“.
Per gli economisti la visione della scuola sembrerebbe quasi una partita a scacchi, dove le variabili sono tante ma poi alla fine si scelgono delle mosse secche: in questa situazione scolastica “aumentano gli incentivi dei cittadini più ricchi a scegliere la scuola privata e a votare per aliquote minori. Se la distribuzione del reddito tra i cittadini, cui concorrono anche i più ampi differenziali salariali connessi con l’aumento di manodopera straniera meno qualificata, diviene sufficientemente ineguale, la spesa per alunno nella scuola pubblica si riduce ulteriormente, amplificando il calo iniziale della qualità“.
I due economisti si spingono ad ipotizzare la strada normativa che occorrerebbe intraprendere per “compensare gli effetti negativi delle differenze tra gli incentivi degli individui“: incentivare la partecipazione dei genitori stranieri alla gestione scolastica. Ciò ridurrebbe il divario di reddito tra persone con diverse qualifiche e aumenterebbe l’efficienza del sistema scolastico.
L’aumento di iscrizioni alle private, conseguenza della presenza eccessiva di alunni non italiani, non è sfuggito al ministro dell’Istruzione: “Non è giusto – ha detto Gelmini qualche giorno fa durante un’intervista a seguito della scelta del Miur di introdurre un freno all’eccesso di alunni non italiani in alcuni istituti – che in certe zone d’Italia i nostri studenti siano costretti a migrare nelle scuole private a seguito dell’eccessivo numero di stranieri in classe”. Il tetto del 30%, se ci si limita a questa analisi, sembra diventare quasi una scelta obbligata.