Banca d’Italia: una falsità dire che ci sono tanti laureati “a spasso”
Dire che in Italia ci sono tanti laureati “a spasso” è una falsità. Mentre spesso si dimentica che il livello di istruzione dei giovani italiani è tra i più bassi in Europa. Sono affermazioni che faranno discutere quelle pronunciato dal vicedirettore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, durante un simposio internazionale di professori universitari, svolto il 21 giugno in Campidoglio a Roma.
Rossi ha detto che “se è vero che un paese economicamente avanzato può garantirsi i suoi livelli di benessere solo producendo un capitale umano di elevata qualità, allora è pericoloso avversare, come taluni a volte fanno, l’innalzamento dei livelli di istruzione dei giovani italiani, che sono tra i più bassi in Europa, con l’argomento, fuorviante, di una presunta sovrabbondanza di dottori a spasso”. Per meglio argomentare il proprio pensiero, il rappresentante della Banca d’Italia ha messo il nostro Paese a confronto con gli Stati Uniti, dove, ha spiegato Rossi, “ciascuno studente investe ogni anno nella propria istruzione post-secondaria quasi 17mila dollari (valori del 2008); il settore pubblico ne aggiunge altri 10mila, per un totale di 27mila. In Italia, convertendo in dollari con pari potere d’acquisto i valori in euro, per ciascuno studente vengono investiti in totale circa 6mila dollari, di cui 1.300 a carico della famiglia e 4.700 a carico dello Stato”. Si tratta di dati che, indubbiamente, riflettono una differenza marcata nelle scelte fondamentali delle due società: in quella americana, l’investimento in istruzione qualificata dei giovani è centrale nelle decisioni pluriennali di spesa delle famiglie e dello stesso settore pubblico. “Chiunque abbia una sia pur minima familiarità con gli stili di vita americani – ha evidenziato Rossi – sa quanti sacrifici, quanto risparmiom molte famiglie dedichino a questo tipo d’investimento, al punto da programmare l’iscrizione di un figlio al college fin dalla nascita. Non ci si deve stupire poi del fatto che quella società generi gran parte delle innovazioni che si producono nel mondo, in ogni campo del sapere e del fare”. “L’altra rilevante differenza fra i due modelli – secondo il vicedirettore – sta nell’utilizzo che viene fatto delle risorse pubbliche. In generale, queste possono essere indirizzate o alle istituzioni (di proprietà sia pubblica sia privata) che forniscono il servizio dell’istruzione, o direttamente alle famiglie, a titolo di sussidio finalizzato al rimborso delle quote d’iscrizione oppure di concorso alle spese varie che uno studente deve sostenere. Questo secondo canale di spesa pubblica – ha aggiunto – delegando allo studente l’individuazione del beneficiario finale dei fondi pubblici attraverso la scelta dell’università a cui iscriversi e a cui pagare la relativa quota, ha il vantaggio di stimolare la competizione fra università nell’attrarre iscrizioni. Nei paesi in cui – ha concluso Rossi – i titoli di studio non hanno un valore legale uguale per tutti, questa competizione si combatterà non a colpi di voti facili, ma di reputazione nell’assicurare un buon ingresso nel mercato del lavoro, nel quale conteranno di più i titoli conseguiti nelle università migliori”.