Il contrario del mediocre non è il superuomo, ma la persona dotata di spirito critico, perché il pensiero critico «smaschera l’ideologia, che è un discorso di interessi sotto la parvenza di scienza. E fa subire un trattamento critico analitico a una nozione che qualcuno ci vuole ficcare nel cervello, per esempio l’inevitabilità della vendita di armi o di una nuova autostrada». Parola di Alain Deneault, filosofo canadese quarantottenne, il cui saggio La mediocrazia (Neri Pozza, pp. 239, € 18), sta facendo discutere anche in Italia.
“Mediocrazia” è il nome con cui Deneault definisce la “dittatura dei mediocri”, che secondo lui è imperante ai giorni nostri. Dittatura dei mediocri, ossia dei conformisti: di quanti rinunciano ad esercitare la propria libera scelta, a pronunciarsi contro le parole d’ordine e le valutazioni dominanti; le quali vengono imposte a tutta la società mondiale non solo mediante i media e le leggi, ma anche e soprattutto grazie alla remissività di chi, acriticamente, sceglie sempre di stare con la maggioranza. Moderni don Abbondi e donne Abbondie, per dirla col Manzoni.
Secondo il filosofo canadese le università americane ed europee (così come le scuole) non coltivano più il pensiero critico, perché loro unico scopo è produrre intenditori di problem solving (stile Invalsi, per intenderci), capaci di procurare legittimità scientifica a chi li paga, nonché «disposti compromessi pur di essere invitati al tavolo d’onore».
«L’esperto è una figura centrale della mediocrazia: si sottomette alle logiche della governance, sta al gioco, non provoca mai scandalo, insegue obiettivi. (…) Si tratta di un sofista contemporaneo, retribuito per pensare in una certa maniera, che lavora per consolidare poteri accademici, scientifici, culturali. I veri intellettuali seguono interessi propri, curiosità non dettate a comando, possono uscire dal gioco. Un giovane ricercatore universitario ha davanti a sé un bivio. Se vuole essere semplicemente un esperto ha buone possibilità di fare carriera, ottenere una cattedra, finanziamenti. Se ha il coraggio di restare un intellettuale puro avrà un futuro molto più incerto. Magari non finirà assassinato come Rosa Luxembourg o incarcercato come Antonio Gramsci, ma non è più certo di poter diventare un professore come Noam Chomsky. Ha buone chances di restare precario tutta la vita».
La mediocrazia «fa soffrire. Chiede a persone impegnate nel servizio pubblico di gestire come si trattasse di un’organizzazione privata, così si trovano in conflitto perché avevano un’etica diversa; chiede a ingegneri di progettare oggetti che si rompano in maniera deliberata perché vengano sostituiti (…) Senza parlare della manipolazione dei consumatori da parte del marketing».
«C’è chi rifiuta le facezie e le aberrazioni della società contemporanea e si mette in disparte: è l’uomo che dorme (…). Esiste il mediocre per difetto, che subisce tutte le menzogne, soffre in silenzio ma si consola quando vince la sua squadra del cuore o può progettare una vacanza al mare. La vera piaga è il mediocre zelante, maestro del compromesso: il presente gli somiglia, il futuro gli appartiene. Poi c’è il mediocre per necessità, consapevole della situazione ma che tiene famiglia, non può permettersi il lusso di uscire dai ranghi. E infine ci sono i fustigatori della mediocrazia: sono pochi, ma possono tentare di allearsi con i mediocri in disparte e quelli per necessità. La loro unione può portare alla nascita di movimenti come Occupy o le Primavere arabe. Nonostante mille difetti queste insurrezioni tentano di sovvertire le fondamenta delle istituzioni mediocratiche».
Quanti docenti possono riconoscere in queste parole la situazione attuale della Scuola italiana dopo la legge 107/2015 (“Buona scuola”)? Quanta strada ha percorso in questi anni la Scuola italiana per diventare un “mediocrificio”, anziché seguire la propria vocazione, che è stata sempre quella di formare i cittadini di domani all’uso consapevole del pensiero critico? Quanti colpi, quanto discredito i vari Governi dell’ultimo quindicennio hanno assestato al Liceo Classico ed a quelle discipline (filosofia, greco, italiano, latino) che da sempre hanno liberato chi le studiava dalla superficialità, dal giudizio facile ed epidermico, dalla sicumera dell’ignorante contento della propria ignoranza? Tutto in nome della “didattica per competenze”!
Possiamo davvero permetterci di fare a meno della nostra cultura più alta, in un mondo che si avvia a fronteggiare sfide gravissime come il disastro climatico e l’assalto delle multinazionali ad ogni bene pubblico? «Ci sono tante e tali minacce che non possiamo accontentarci di affidare il potere a capetti senza visione e senza convinzioni», dice Deneault. Possiamo quindi accontentarci di alienare la nostra libertà d’insegnamento ad enti burocratici (“mediocratici”?) come l’Invalsi? Possiamo accettare tutto questo per conformismo e per paura di sporcarci il vestito buono?
Alvaro Belardinelli (Esecutivo Nazionale Unicobas)
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