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Basta con la Scuola! Insegnanti in fuga

CobasCobas

“La mobilità verso altro ramo della P.A. e, qualora dovessero esserci dei posti disponibili, lo spostamento negli uffici amministrativi dei Csa.”
Sono queste le principali richieste di un gruppo, denominato “Mobilità intercompartimentale docenti” (conta oltre 2600 iscritti).
Stanchi dei continui cambiamenti della professione, i componenti si appellano all’art. 3 della Costituzione.
Essi richiedono il diritto di potersi spostare attraverso la mobilità verso gli altri ambiti dello Stato, come avviene per le restanti categorie del pubblico impiego, secondo un principio di uguaglianza.
Alla base delle richieste del gruppo, c’è il repentino e continuo mutamento a cui è andata incontro la professione docente negli ultimi anni. Da troppo tempo il loro lavoro, individuato soltanto nelle ore di lezioni, è in realtà gravato da una sempre più pressante burocrazia, che nulla avrebbe a che vedere con la didattica. In termini di qualità e di tempo, negli ultimi anni, l’introduzione del registro elettronico, strumento che avrebbe complicato la registrazione delle presenze degli allievi, allungando i tempi di compilazione rispetto al classico registro cartaceo, con problematiche derivanti dalla privacy, rischi di errore, e un aumento di operazioni di segreteria. A ciò si aggiungono tutta una serie di altre incombenze burocratiche che sviliscono il docente, togliendo tempo prezioso alla didattica, come diversi elaborati da scrivere per tutto l’anno scolastico quali la presentazione di programmazioni e di altra modulistica per monitorare costantemente il percorso degli allievi.
A questi vanno aggiunti progettazioni che diminuiscono il tempo da dedicare alla propria disciplina, impegnandoli in attività trasversali che non riguardano direttamente la propria materia.
Si sono moltiplicate le riunioni che spesso vanno ben oltre le 40 ore più 40 previste dal CCNL e la formazione, portando i docenti a rimanere a Scuola nell’arco di buona parte della giornata, senza avere il più delle volte la possibilità di ristorarsi in pausa pranzo, dovendo passare senza soluzione di continuità tra attività burocratiche e lezioni.
Si aggiunge che gli insegnanti non possono neanche usufruire dei buoni pasto né poter avere integrato i costi di benzina o di altri mezzi pubblici per raggiungere le sedi di titolarità spesso molto lontane dalle proprie abitazioni, cosa che avviene per altri lavoratori.
A queste incombenze va comunque aggiunto, naturalmente, la preparazione di verifiche, della preparazione delle lezioni e la correzione continua degli elaborati degli studenti.
Un carico di lavoro che viene anche in questo caso effettuato a casa anche nei giorni festivi e non lascia alcuna traccia.
I docenti in questione lamentano anche un’accentuata aziendalizzazione della Scuola, con la crescita repentina dei poteri del dirigente-manager, permessa dalla legge 107/2015, comunemente conosciuta come “Buona Scuola”, e dalla continua digitalizzazione che arriverebbe a mettere a rischio la libertà di insegnamento, prevista dall’art. 33
Costituzione.
Dietro l’angolo lo spettro del burnout, come ricordato dagli studi del Dottor Lodolo D’Oria, che fin a partire dagli anni Novanta ha messo in luce e studiato le malattie psichiatriche, professionali e non solo a cui sarebbero soggetti i docenti e che, con un quadro mutato in peggio, rischierebbero di aumentare.

A queste vanno aggiunte, come ricordano molti articoli della cronaca, le numerose aggressioni da parte di studenti e famigliari, che mettono a rischio la loro incolumità e dove il docente non è più considerato un Pubblico ufficiale, ruolo che invece riveste a scuola e fuori da essa.
Per tali motivi gli insegnanti non si riconoscono più nel mestiere che avevano fortemente voluto e in cui avevano investito molti anni in formazione, sentendosi quasi traditi, chiedendo, dunque, di utilizzare le loro competenze in un altro ramo della P.A., almeno a parità di condizioni economiche.
“Impossibile immaginare di arrivare a 68, 70 anni e forse più sulla cattedra effettuando questa professione con tali ritmi”.
La mobilità intercompartimentale dei docenti risulta allo stato attuale vietata da un combinato disposto di norme, tra cui la 311/2004, dovute al blocco del turnover presente nel pubblico impiego fino al 2018.
A causa dell’alto numero dei suoi dipendenti, la Scuola non era soggetta a questi limiti, tuttavia, a partire dal 2019, la Pubblica Amministrazione ha effettuato migliaia di assunzioni, e continua a farle, rendendo quantomeno anacronistico e superato questo suo divieto.
Inoltre anche nelle pieghe del PNRR si può notare come l’Unione Europea inviti gli stati membri ad attuare i trasferimenti intercompartimentali tra i diversi rami della P.A.
Alla luce dei motivi illustrati, il gruppo di Insegnanti chiede ai sindacati e al decisore politico di superare i vincoli di alcune leggi, e di permettere di spostarsi verso un’altra attività dello Stato, come avviene in altri Paesi Europei. Essi potrebbero così mettere a disposizione le proprie competenze e consentire un contestuale ingresso di nuovi docenti, più in sintonia (forse) con il nuovo volto che la Scuola sta assumendo.

Gruppo “Mobilità intercompartimentale docenti”

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