I lettori ci scrivono

Basta parlare di competenze senza tenere conto delle conoscenze

Mentre da un lato vi sono eminenti studiosi del mondo dell’archeologia come il prof. Salvatore Settis o l’Invalsi americana che disconoscono il ruolo e la centralità della didattica delle competenze e fanno un passo indietro per avvalorare la didattica delle conoscenze, in Italia si continua imperterriti sulla strada delle competenze.

Grandi pedagogisti ritengono, infatti che le competenze sono le uniche vere protagoniste della didattica contemporanea, di quella didattica effimera, vaporosa, evanescente, capace di formate alunni “operai” e non più alunni “pensanti”.

Ritengono, infatti, che la didattica delle conoscenze appartiene al passato, ha il sapore di vecchiume e, quindi, non essendo più al passo con i tempi, deve essere considerata morta e sepolta.

Si parla, con linguaggio moderno di skill, di abilità da spendere nel mondo del lavoro, senza minimamente rendersi conto che alla base delle competenze ci devono, giocoforza, essere le conoscenze.

La parola “competenza”, sembra oramai il verbo assoluto da cui non si può prescindere. Tuttavia, è risaputo che gli alunni, invece delle competenze non possiedono più le conoscenze più elementari della grammatica italiana, faticano a leggere, non sanno comporre una frase semplice e scrivere una frase minima.

E in Italia cosa si continua a fare? A parlare di competenze senza tenere conto delle conoscenze. E a furia di osservare le competenze gli alunni hanno completamente dimenticato l’educazione, la creatività e lo spirito critico, la capacità argomentativa, la riflessione, il ragionamento.

L’importante è che sanno fare. Come non si sa. La didattica delle competenze rappresenta, insomma, la nuova frontiera del modo di insegnare oggi che privilegia il rapporto euristico ossia il contatto diretto con la realtà, quello che viene definito il compito di realtà.

L’alunno sviluppa questo compito di realtà attraverso il senso pratico di tutto ciò che lo circonda partendo dall’informazione, proseguendo per la conoscenza, per poi arrivare all’abilità che si deve tradurre in competenza. Con questo approccio troppo aderente alla realtà, sembra far sminuire il concetto di conoscenza e, quindi, del sapere che viene un poco accantonato, ossia non data quell’importanza e quella valenza che dovrebbe avere.

La competenza deve essere il risultato complessivo di una serie di apprendimenti e l’apprendimento si costruisce con il sapere. La didattica delle competenze non deve far perdere l’orizzonte primario e basilare della conoscenza, del sapere che deve essere l’asse portante per sviluppare una competenza, senza la quale l’una non può esistere senza l’altra. Ci deve essere, quindi, un rapporto di complementarietà tra la conoscenza e la competenza.

Si sta avendo, invece, la certezza che si assolutizza molto la competenza a discapito della conoscenza, ma si torna a ribadire che la conoscenza è fondamentale. Se l’alunno deve eseguire un compito di realtà e al termine del percorso deve essere in grado di sviluppare una competenza è fondamentale che sappia, che conosca, che abbia i prerequisiti per giungere ad acquisire quella competenza. Senza conoscere come diventa poi competente?

La didattica delle competenze, attraverso il compito di realtà non deve prescindere dalla conoscenza e soprattutto sminuire il valore del sapere, in virtù del fatto che l’alunno sa fare anche se non conosce il procedimento.

I docenti stiano attenti a bilanciare molto e dare il giusto rapporto al trinomio dei compiti di realtà, delle conoscenze e delle competenze perché è una sfida molto delicata su cui si gioca il futuro della scuola italiana e di conseguenza i traguardi degli alunni.

Mario Bocola

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