Continua la disputa tra Accademia della Crusca e il Ministero dell’Istruzione. La Crusca “rimprovera” il ministero di utilizzare troppi anglicismi. A La Repubblica, il presidente Marazzini rincara la dose: “Studiare l’inglese è una cosa, pensare di educare i giovani all’imprenditorialità, appiccando qua e là etichette in una lingua straniera è un’altra. La scuola non deve diffondere un aziendalese di bassa lega, ma invece ragionale sulla presenza di questo linguaggio nel mondo dell’industria”.
SCUOLA – “Che siano le aziende a decidere come debba parlare la scuola, non lo trovo ammissibile. La scuola deve trasmettere i principi base della cultura, del vivere civile. No al Bignami del linguaggio industriale. Attenzione, però. Ci sono dei termini davanti ai quali bisogna fermarci, la traduzione è impossibile o campata per aria, come wireless o mouse”.
Tutto nasce dal Sillabo programmatico, pubblicato lo scorso 14 marzo e dedicato alla promozione dell’imprenditorialità nelle scuole statali secondarie di secondo grado. Il testo è pieno di parole inglesi.
“Concretamente – si legge in un testo del Gruppo Incipit – questo pare il messaggio del ‘Sillabo’: per imparare a essere imprenditori non occorre saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del ‘team building’, non serve progettare, ma occorre conoscere il ‘design thinking’, essere esperti in ‘business model canvas’ e adottare un approccio che sappia sfruttare la ‘open innovation’, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati ‘pitch deck’ e ‘pitch day’”, segnala la Repubblica.
“Questo documento “pare una sorta di contraffazione paradigmatica della cultura e del patrimonio italiano: è così che si vogliono promuovere e valorizzare le eccellenze italiane, il Made in Italy?”, afferma l’Accademia.
La risposta della ministra Fedeli non si è fatta attendere. “Non capisco, sinceramente, da quali documenti o atti del Miur ricaviate la presunta volontà ministeriale di, cito, ‘promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana’ – ha scritto -. È sbagliato, secondo me porre in alternativa l’italiano – il cui valore va non solo difeso, ma anche consolidato e promosso, come ha fatto il Ministero che ho avuto in quest’ultimo anno e mezzo l’onore di guidare – e l’inglese – che ritengo debba diventare lingua obbligatoria fin dalla scuola dell’infanzia, insegnato da docenti madrelingua”.
[…] “Non vi sfuggirà, ne sono convinta – prosegue Fedeli – che l’utilizzo di termini stranieri si rivela funzionalmente necessario quando questo “prestito” consente una funzione designativa del tutto inequivoca, specie se si accompagna all’introduzione di nuove “cose”, nuovi “concetti” e delle relative parole.
Ciò vale per “team building”, “budget” o “crowdfunding” quando si scrive di imprenditorialità, così come vale oggi per i termini greci o latini “crudi” utilizzati in studi di archeologia, papirologia, esegetica, solo per fare alcuni esempi, magari in grafia originale. O come valeva in passato per le parole arabe quando si scriveva di matematica o di geometria”.
“Si stenta a credere – conclude la ministra – che qualcuno possa imputare al Miur la volontà di “promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana”. Sono certa che anche se avete scelto come nome “Gruppo Incipit” continuerete a promuovere, come sta facendo il Miur, il valore della lingua italiana”.
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