Didattica

Bastano davvero una didattica accattivante e docenti appassionati per prevenire le dipendenze dei ragazzi?

Se bastasse una nuova didattica, attrattiva, coinvolgente, partecipativa, che faccia entusiasmare i ragazzi salvandoli da uno stato pre-depressivo che sfocia inevitabilmente in comportamenti dannosi per la salute fisica e mentale – come più o meno dichiarato dal Ministro Valditara alla Conferenza sulla Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024 la Scuola italiana sarebbe candidata al Premio Nobel per la salvezza delle nuove generazioni, se solo esistesse.

Ma il problema delle dipendenze giovanili sarebbe davvero risolto se i nostri docenti fossero dei cloni del professor Keating nell’Attimo fuggente o della professoressa Watson in Mona Lisa Smile? Perché anche in quelle due storie, non è che le cose siano finite proprio così bene: un suicidio e il rientro nei ranghi della maggior parte di studenti e studentesse non è esattamente un bilancio positivo per la didattica coinvolgente e attrattiva adottata dai due docenti interpretati da Robin Williams e Julia Roberts. Per carità, sull’entusiasmo generato tra gli alunni, niente da ridire, c’era ed era altissimo. Ma poi… ma poi c’è la realtà circostante che incombe, c’è la famiglia, il quartiere spesso ai margini della città, contenitore vuoto in cui passare pomeriggi che non finiscono mai e che nasconde insidie a ogni angolo.

Quindi sì, d’accordo, lodevole l’intenzione del Ministro Valditara di sognare una Scuola in cui i docenti trasmettano ai ragazzi un amore per lo studio tale da tenerli alla larga da alcol e droghe, ma occorre fare i conti con la realtà. Una realtà che qualche anno fa nel suo libro “Diario di Scuola”, Daniel Pennac ha descritto con un’immagine fulminante: I nostri studenti che “vanno male”… non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla… Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all’uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo.

Scuola vs Ambiente, dunque? Una lotta infinita che ricomincia ogni giorno al suono della prima campanella del mattino? Sì, in buona sostanza è così. Ma la Scuola, si chiede il prof. Stefano Canali – docente all’Università di Roma Tre presso il corso di Scienze cognitive della Comunicazione e dell’Azione – ha davvero, tra i suoi, anche questo compito specifico? Alla scuola e agli insegnanti, scrive Canali in un suo intervento in occasione della Giornata mondiale degli insegnanti di qualche anno fa, si chiede tanto per la prevenzione delle dipendenze. Ma si chiedono cose inappropriate, spesso cose che la scuola non può e anche non dovrebbe fare. Mentre purtroppo si trascurano le condizioni e i fattori attraverso cui la scuola naturalmente potrebbe ottenere, anche solo come indiretta conseguenza, la prevenzione di questi comportamenti.

Per il docente, la parola che dà senso e collega i termini “scuola” e “prevenzione” è “educazione”. La scuola e la prevenzione riguardano infatti l’educazione, l’atto o il processo con cui si sostiene e si facilita l’acquisizione di conoscenze e competenze, lo sviluppo della capacità di ragionare e giudicare, la formazione di un individuo autonomo, intellettualmente ed emotivamente maturo per la vita adulta. Per questo, una scuola che funziona come dovrebbe contribuisce per definizione a prevenire…

Ma una scuola – continua Canali –  può educare veramente e veramente fare prevenzione solo se ciò che è e ciò che fa è riconosciuto a livello sociale e politico, se ciò che insegna è riflesso a livello sociale e politico. Una scuola può educare veramente e veramente fare prevenzione solo se l’istruzione è vista come qualcosa che coinvolge l’intero sistema che contribuisce a educare: non solo la scuola, ma anche i genitori, la comunità del territorio, il sistema produttivo.

Purtroppo, non ci sembra che allo stato attuale la Scuola sia percepita così.

Gabriele Ferrante

Articoli recenti

Compie 100 anni la Scuola Ebraica Elementare ‘Vittorio Polacco’: ha istruito tutti i bambini (non solo ebrei) e presto raddoppierà col liceo

La Scuola Ebraica Elementare 'Vittorio Polacco' di Roma ha compiuto i suoi primi 100 anni:…

25/11/2024

Bruciare una foto non è solo un oltraggio alle istituzioni, è anche una rinuncia alla nostra civiltà

E’ successo di nuovo. Un’altra fotografia del Ministro Valditara è stata bruciata, a Roma, davanti…

24/11/2024

Educazione affettiva scuola, l’80% degli italiani sarebbe d’accordo: lo dice lo studio non profit “Prima che sia troppo tardi”

Per otto italiani su dieci la violenza di genere è un fattore preoccupante: ritengono infatti…

24/11/2024

Concorsi per l’insegnamento della musica: non mancano le stranezze

Appartengo alla comunità di Docenti di Musica che segue indirettamente, in quanto già in ruolo…

24/11/2024

Sul “caso di Terlizzi” ci sono le precisazioni dell’avvocato della madre: si tratta di un “decreto penale di condanna” e non di una “sentenza di condanna”

L’ Avvocato Corrado Bonaduce, in qualità di difensore di fiducia della “donna terlizzese”, cui fa…

24/11/2024

Educazione affettiva e sessuale, un processo lungo e delicato

Egregio Direttore, mi capita spesso di leggere gli articoli sul suo giornale, le invio perciò…

24/11/2024