Cara Tecnica, da parecchi anni, ormai, avevo il giorno libero di venerdì, pertanto non mi era quasi possibile aderire a scioperi che – guarda caso! – vengono indetti immancabilmente in questo giorno della settimana.
Quest’anno, invece, il venerdì sono in servizio, pertanto leggo con più attenzione gli avvisi e le comunicazioni sindacali, nel caso ci sia qualche tematica per la quale valga la pena di rimetterci qualche soldo. Ho deciso, pertanto, di aderire allo sciopero indetto da ANIEF (15/11/2024) e ritengo opportuno spiegare il motivo, anche per chiarezza nei confronti di chi, a volte, si chiede come mai l’adesione del personale della scuola a queste forme di protesta sia sempre più modesta. Ho cercato nei volantini di altre organizzazioni sindacali rivendicazioni che in qualche modo mi coinvolgessero, ma semplicemente, non li ho rinvenuti. Solo l’ANIEF pone l’accento sulla questione dell’accesso anticipato alla pensione (ho 62 anni); la più parte degli altri sindacati si concentra su altri temi (stabilizzazione dei precari, aumenti stipendiali, peraltro sempre risibili, ecc..) che sono sicuramente nobili cause, ma che riguardano quasi tutte la fase iniziale o centrale della carriera. Ora, vogliamo una buona volta renderci conto che – come già riportato da un mio precedente intervento (“Docenti: diritto alla fragilità”, sulla Tecnica del 21/06/2023) la nostra categoria vede una prevalenza evidente di docenti ultra-cinquantenni e DONNE, sulle quali ricade l’onere di un welfare carente, soprattutto nei confronti di bambini (nipoti) e anziani (genitori).
Per carità, la solidarietà è una bella cosa, che indubbiamente latita in una categoria – come la nostra – che vede un coacervo di situazioni professionali e personali decisamente eterogenee, tuttavia, francamente, al di là dell’umana comprensione per i colleghi più giovani, non riesco ad appassionarmi a cose che ormai non mi riguardano più di tanto. Dopo tanti anni di delusioni patite (sull’edilizia fatiscente, sul numero di alunni per classe, sugli stipendi inadeguati, sull’impossibilità di accedere ad una carriera e chi più ne ha, più ne metta) quand’anche, per fantasmagoriche prospettive, qualcosa si muovesse in quel pachiderma che è il mondo della scuola, esse vedrebbero la luce, nella migliore delle ipotesi, quando la più parte di noi sarà in pensione, nella peggiore, quando saremo ormai sotterrati. E quante colleghe sono nella mia condizione, come asini, ad orecchie basse, a girare il bindolo come Pinocchio, per portare a casa il bicchiere di latte, non al povero Geppetto, ma all’anziana madre? Senza contare che, con l’”inverno demografico” che già si estende dalle elementari/medie alle superiori e i famosi “tagli” di assunzioni ed accorpamenti di istituti, per poter “stabilizzare i precari” le cattedre dovranno prima essere liberate dalla nostra ormai esausta e demoralizzata presenza.
In sintesi, mi pare che a volte i sindacati non abbiano ben presente a quale “target” si rivolgono: se un’azienda, nel piazzare sul mercato un certo prodotto, non calcola attentamente i bisogni dei clienti – e le adeguate rilevazioni preventive non sono certo così difficili da ottenere – ha già fallito in partenza.
Monica Quetore