Tagliare, ridurre, tassare: il tema dell’estate del 2011 è sempre lo stesso. L’ultima richiesta arriva dalla Bce al Governo: per anticipare il pareggio di bilancio è necessario ridurre, tra le altre cose, anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici. In queste ore l’esecutivo, con il ministro Tremonti che comincia a doversi difendere anche dalle critiche all’interno della maggioranza, sta valutando se questa può essere una strada percorribile, assieme a quella di bloccare l’indicizzazione delle pensioni, tassare le rendite finanziarie, dare maggiore libertà agli imprenditori di licenziare il personale meno efficiente. In attesa di capire quale sarà l’ennesima “ricetta” al ribasso, che comporterà ulteriori sacrifici per gli italiani, si apprende che quella di calmierare gli stipendi dei dipendenti della Pa non sembra essere tra le priorità del Governo: considerando che si tratta di quasi 3 milioni e mezzo di stipendi, da una parte garantirebbe sicure entrate per un debito pubblico che ha raggiunto livelli record (1.900 miliardi di euro), ma dall’altra produrrebbe sicure ripercussioni negative sul fronte economico e sociale.
Eppure il problema esiste: secondo la Cgia, Associazione artigiani e piccole imprese, da qualche anno a questa parte le retribuzioni dei lavoratori del pubblico impiego hanno subito un impennata. Fermarsi un “giro”, qualche anno, non sarebbe quindi così scandaloso. “Tra il 2001 e il 2009 – ha detto Giuseppe Bortolussi, segretario degli artigiani di Mestre – a fronte di una diminuzione di quasi 111.000 dipendenti pubblici, la spesa per il costo del lavoro è invece aumentata del 29,5%. In termini assoluti è cresciuta di 37,7 miliardi, passando da 127,7 miliardi riferiti al 2001, ai 165,4 miliardi spesi dallo Stato nel 2009. Sempre in questo arco temporale, l’inflazione, invece, è aumentata del 21,5% circa”.
Da un’analisi più approfondita dei dati cui fa riferimento il sindacalista si scopre che però gli incrementi stipendiali sono stati tutt’altro che omogenei. Tra i settori dove gli aumenti sono stati più consistenti, la Cgia segnala i dipendenti degli Enti pubblici non economici, come Aci, Enit, Ice, Inps, Inail, Inpdap: il loro incremento retributivo medio è stato, tra il 2001 e il 2009, del +46%. Anche nella magistratura, dove la media stipendiale è già attorno agli 80.000 euro annui lordi, le cose non sono andate male: l’aumento medio dei magistrati è stato del +42,5%. Non si possono lamentare le Regioni e gli Enti Locali, con una crescita media del 41%. Poi a scalare i corpi di Polizia, che hanno registrato un aumento medio del 35,2%; gli Enti di ricerca con un +33,8%; l’Università (+33%), la Sanità (+30,7%), e le Forze Armate (+30,3%). E la Scuola? In fondo alla classifica, naturalmente, con un incremento del 27,9%; quindi di poco superiore all’innalzamento dell’inflazione.
Per i dipendenti della Scuola non si tratta certo di una novità (sic!): di recente la Ragioneria generale dello Stato ha messo in evidenza come le spese gli stipendi del settore Istruzione siano i più bassi del pubblico impiego. Nel 2009 la media pro-capite ha sfiorato i 39mila euro annui, mentre anche al Ministero dei Beni culturali si è arrivati a 39.500 euro. Stipendi più elevati si registrano nella Difesa (43mila euro) e nel Ministero degli Interni (43.900). Ma le cifre più alte le spuntano i dipendenti della Giustizia con quasi 53.600 euro. Se poi ci si confronta con quanto guadagna un insegnante all’estero, le differenze diventano abissali. La conclusione è logica: se lo stipendio di un insegnante italiano dopo diversi anni di servizio si attesta attorno alle 1.300 euro nette, come si fa a chiedergli di stringere la cinghia? Se proprio si dovesse mettere mano alle tasche dei dipendenti pubblici, il Governo farebbe bene a chiedere sacrifici in comparti più “nobili”.
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