La campionessa paralimpica di scherma Bebe Vio, 27 anni, è stata intervistata ai microfoni di Vanity Fair. In questa occasione ha parlato della sua infanzia e del suo rapporto con i compagni a scuola: la Vio non ha subito bullismo, ma ci sono state alcune situazioni spiacevoli.
Ecco come ha esordito: “Mia mamma mi ha sempre definita in un’altra maniera, però l’essenza è la stessa: rompipalle strozzabile. Perché ho sempre rotto le palle. Pensa che da piccola, durante le elementari, ero in un consiglio comunale dei ragazzi di Mogliano Veneto, il nostro paesino, un gruppo della sicurezza, e andavo a dare le multe morali a chi parcheggiava sul posto per disabili, e ancora non ero disabile, già rompevo le palle”.
E, sul bullismo a scuola: “Da piccola non sono mai stata bullizzata, sai tra ragazzini a scuola si viene presi di mira per qualsiasi cosa, dagli occhiali da vista, al tipo di capelli, al colore della pelle o per qualsiasi tipo di disabilità. Io ho sempre avuto la fortuna di capitare in classi stupende, con persone che mi hanno fatto sentire subito a mio agio. Alle medie dicevano ai bambini ‘non ti sedere sulla carrozzina che poi sennò ci rimani’. Adesso invece la disabilità sta diventando normalità e lo scopo è proprio di non considerare i disabili come supereroi ma come persone normali”.
Ecco le sue parole sul linguaggio inclusivo: “Sono la persona meno adatta, la più politically incorrect da questo punto di vista, perché secondo me dipende sempre da come dici le cose. Con che tono le dici. Sono la prima a dire “handicappato” e lo so che è sbagliato, però secondo me dipende veramente da come vengono usate le parole, anche quando si fa ironia sulla disabilità o su altri tipi di differenze. I miei amici mi prendono molto in giro perché dicono che vivo nel mondo degli unicorni e degli arcobaleni, perché di base per me è così, la gente non intende offendere e non trovo niente di divertente nelle offese, però il prendere in giro può essere giusto se si tratta di qualcosa che è stato già metabolizzato”.
“Sin da ragazzina la mia carrozzina e le mie protesi sono sempre state come un giocattolo. Dipende tutto da come ti mostri, se fai vedere che hai qualcosa che ti rende fragile, che non si può guardare, toccare, o sulla quale non si possono fare domande, tutto rimarrà per sempre un tabù. Quello che sposta i pesi nella società è la cultura e purtroppo il suo contrario è l’ignoranza. Nel momento in cui c’è ignoranza, intesa non come offesa ma nel suo significato vero di non sapere qualcosa, hai paura di quella cosa perché non la conosci. Quando ero piccola i primi commenti che facevano sui di me se i bambini chiedevano ‘mamma che cos’è?’, era ‘non guardare!’. È sempre stata la cosa più brutta e sbagliata che potesse dire un genitore. Avrebbero dovuto dire ‘vai lì e chiedi’ e adesso invece nei libri di scuola si parla di disabilità, negli sport olimpici le protesi sono una cosa estremamente normale, come le carrozzine. È normale dare una mano alla gente che passa per strada, è normale guardare ed è giusto guardare, è giusto chiedere perché solo la conoscenza ti fa passare la paura. Il fare cultura della disabilità secondo me è la cosa più importante al mondo, vale anche per altri ambiti che magari non sono così conosciuti, per far sì che non siano un tabù e non siano questioni private che vengano considerate offese, o guardate in maniera strana. Basta conoscere e tutto cambia”, ha concluso.
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