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“Bei tempi quando le mamme si facevano vedere a scuola solo per i ricevimenti”. Una lettera stigmatizza le chat dei genitori

“Caro direttore – scrive qualche giorno fa un lettore al Corriere della Sera – le «chat dei genitori», novità social degli ultimi anni, sono qualcosa di inconcepibile per chi è cresciuto negli anni ’70/80”. Inizia così lo sfogo di un signore che in qualche modo rimpiange gli anni in cui andava al liceo, quando “i nostri genitori non sapevano neanche il nome dei professori o allenatori di calcio, basket ecc. “

Il lettore idealizza, insomma, la vita degli adolescenti di allora, che frequentavano la scuola senza il fiato sul collo dei genitori, che dovevano vedersela da soli con i compagni, con i docenti, con i bidelli, con tutti. E che crescevano meglio e più in fretta: Un mondo più semplice – così si conclude la lettera – che forse opprimeva meno e responsabilizzava maggiormente gli adolescenti. Perché non torniamo a questo?

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La lettera – che il quotidiano milanese ha intitolato ’Genitori «a tutta chat» non è l’ora di fermarsi?’ – si guadagna la risposta del direttore, Luciano Fontana, che si schiera dalla parte del lettore, pur con qualche riserva, legata al fatto che anche la totale assenza dei genitori, all’epoca, era un eccesso.

Le chat dei genitori – afferma Fontana – esplorano minuziosamente tutti i momenti della giornata scolastica: pongono problemi, esprimono giudizi (spesso poco rispettosi), fanno litigare i genitori più di quanto lo facciano i ragazzi tra di loro. Nei confronti dei docenti c’è quasi sempre un atteggiamento da «avvocato difensore» del proprio piccolo, il ruolo di formazione ed educazione si trasforma nella ricerca costante degli elementi di contestazione.

Il direttore ricorda poi che il Corriere ha lanciato più volte l’idea della «lega contro le chat dei genitori», sempre e comunque nefaste: bene che vada infatti, sono strumenti, esagerati, di controllo; nei casi peggiori, non così rari per la verità, diventano sede di liti e risse. Il risultato – conclude Fontana –  è una scuola indirizzata in un servizio quotidiano di baby sitting con ragazzi che fanno fatica ad assumersi le proprie responsabilità: a fare quelle scelte che li faranno diventare adulti. Crescere in un ambiente iper controllato e iper protetto, pronto a trovare sempre una giustificazione «sociologica» ai tuoi errori non solo è sbagliato ma a volte dannoso. Perché genera disattenzione verso situazioni di reale disagio su cui, invece, sarebbe indispensabile intervenire.

Certo, sarebbe bello, nel migliore dei mondi possibile, vietare per legge le chat dei genitori. Ma siccome è impossibile, e dato che continueranno a proliferare, ci sentiamo di dare ai docenti, un consiglio (che potranno rifiutare…): non fare mai parte di un gruppo whatsapp di genitori. Molti docenti lo hanno fatto, mossi dal lodevole intento di esprimere in tal modo un’idea di educazione condivisa, di ‘didattica partecipativa’, di apertura della scuola alle famiglie. Salvo poi ritrovarsi irretiti e invischiati in chiacchiericci, pettegolezzi, maldicenze, intenzioni malcelate di gestire e orientare le scelte del Consiglio di classe.

Non vogliamo dire con questo che non esistano famiglie serie e sinceramente desiderose di collaborare con la scuola per una crescita sana ed equilibrata dei propri figli. Ci sono e sono la maggioranza. Tuttavia, è sempre meglio discutere in presenza, in Consiglio, guardandosi negli occhi invece di usare uno strumento che potrebbe dimostrarsi inefficace e fuorviante.  

Gabriele Ferrante

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