Egregio signor Ministro Valditara,
Le scrivo per esprimerLe la mia delusione nel leggere le Sue parole a proposito delle classi scolastiche che dovrebbero essere composte da una maggioranza di alunni italiani. Rispetto al commento del vicepremier Matteo Salvini riguardo alla scuola di Pioltello, mi sarei aspettata da Lei, signor Ministro, una netta presa di distanza. Non soltanto per l’evidente difficoltà pratica nel dare seguito a tale raccomandazione in alcune zone d’Italia ma soprattutto perché da Lei, Ministro dell’Istruzione, mi aspettavo una visione più ampia e lungimirante.
Vede, in questo periodo storico in cui ogni giorno si apre un nuovo fronte di conflitto, in cui ogni giorno sembra essere più vicino un nostro coinvolgimento diretto in quanto Italiani ed Europei nelle guerre in corso, in questo momento storico mi sembra sempre più evidente che la pace non sia una condizione “normale”, “scontata”, come poteva illusoriamente sembrare a noi Europei solo fino a qualche anno fa. La PACE va invece costruita e difesa giorno dopo giorno. Non certo aumentando le difese e rafforzando gli eserciti, non certo armandosi. Quando si arriva a questa necessità significa che si è già fallito.
La PACE si costruisce facendo in modo che le persone non abbiano motivo di provare diffidenza o paura nei confronti gli uni degli altri, che non abbiano motivo di odiarsi ma abbiano interesse a collaborare per un obiettivo comune che non può essere altro che il comune benessere, la comune prosperità. Questa semplice idea – rivoluzionaria 70 anni fa – ha dato origine ai 70 anni di pace in cui l’Italia, all’interno di un’Europa pacifica, ha potuto prosperare.
La PACE si costruisce ogni giorno e voi, Ministri che governate, avete un’enorme responsabilità per le decisioni che prendete ma prima ancora per le parole che usate. Lei ed il vicepremier parlate in difesa dell’”italianità”; ma cos’è l’”italianità” se non l’insieme dei valori di democrazia, uguaglianza, equità, pari opportunità, giustizia espressi nella nostra Costituzione?
La popolazione italiana sta invecchiando, molti borghi si spopolano, le aziende faticano a trovare personale: perché spingere l’opinione pubblica a vedere l’immigrato come una minaccia, un nemico, un corpo estraneo che viene ad inquinare la nostra cultura?
Perché favorire la crescita di sentimenti di diffidenza e paura da un lato, di ingiustizia e rancore dall’altro? Perché non presentarlo, invece, come una risorsa? Accoglierlo con gratitudine, riconoscerne l’apporto positivo, integrarlo invece di marginalizzarlo è il modo migliore per farlo sentire a casa ed incoraggiarlo a spendersi, insieme a noi Italiani, per far prosperare il luogo, la nazione dove ha scelto di vivere. Accoglierne i figli a scuola senza che fin dal primo giorno si debbano sentire diversi, discriminati, permetterà a maestri e professori di insegnare loro i principi della nostra Costituzione affinché, nel rispetto di questi principi e con la forza che viene loro dall’aver sofferto per l’allontanamento dalla patria d’origine (ricordiamoci che nessuno lascia la propria Patria se non è spinto dal bisogno), ci aiutino a far rinascere un paese che si sta spegnando perché sempre più vecchio.
Stabilire una quota massima di alunni stranieri per classe significa insegnar loro, ancor prima che mettano piede a scuola, che non saranno mai Italiani; equivale a creare un senso di distanza, di estraneità, a far crescere il rancore per essere ingiustamente lasciati ai margini. Per quanto mi impegni – penserà il bambino, l’adolescente – non sarò mai Italiano, questa non sarà mai casa mia. Chi vorrà impegnarsi a costruire qualcosa di duraturo in un luogo che non sente suo, dove è di passaggio?
In alcune scuole i figli di immigrati sono o saranno la maggioranza? È o sarà solo lo specchio di una società che cambia. Bisognerà piuttosto pensare ad adattare la didattica alle diverse esigenze di classi multilinguistiche e multiculturali offrendo loro maggiori risorse per l’insegnamento della lingua italiana agli alunni ed alle loro famiglie ed assumendo mediatori culturali a supporto di famiglie spesso in difficoltà nel comprendere le richieste della scuola o nel districarsi con le incombenze burocratiche.
Le società cambiano nel tempo, lo insegna la storia, e la volontà dei Governi di forzare questi mutamenti ha sempre portato ad ingiustizie, sopraffazioni, violenze, guerre. I mutamenti vanno governati, non contrastati, in modo da costruire un clima di convivenza pacifica e di reciproco rispetto nel quale valorizzare le differenze e rendere possibile una reale accoglienza ed integrazione. Solo a queste condizioni sarà possibile che ciascuno abbia interesse a contribuire al progresso comune.
Anna Maria Campione
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