Negli anni sessanta e settanta in diverse città britanniche (Londra, Liverpool, Leeds, Glasgow) gruppi di “entusiasti” hanno istituito “scuole libere”, caratterizzate da un regime modellato sull’esperienza del movimento per un insegnamento progressista, per garantire, sebbene non riconosciuta legalmente, un’istruzione informale ai giovani espulsi dalle scuole ufficiali o che si sono auto-esclusi saltando di continuo le lezioni.
Una di queste, la White Lion Free School di Londra è durata dal 1972 al 1990, l’altra è la Summerhill School, una scuola fondata da Alexander Sutherland Neill nel 1921 che incarna uno degli esperimenti più significativi di pedagogia libertaria.
È un collegio indipendente britannico organizzato come una comunità democratica; è frequentato da ragazzi dai quattro ai sedici anni che generalmente provengono da Paesi stranieri.
E’ una scuola priva di autorità o di gerarchia. Le lezioni sono facoltative e programmate secondo un orario valido solo per gli insegnanti. I ragazzi sono liberi di esprimersi liberamente, a patto che le loro azioni non provochino alcun danno agli altri, secondo quanto previsto dal principio di Neill «Libertà, non Licenza».
I primi quaranta anni di questa rivoluzionaria esperienza educativa sono descritti nel libro “Liberi bambini a Summerhill”e riportati nel dvd “Figli della Libertà” ). Ove per libertà si intende la possibilità di smarrirsi in una qualunque radura: della fisica, della filosofia, dell’arte, dell canto della natura, che è dunque la sorgente del nostro stesso tempo, il tempo delle differenze. Una libertà intesa come ricerca di autonomia sul campo del proprio saper vivere (La comunità educante).
Esperienze di questo tipo hanno avuto poco seguito anche per la necessità di un riconoscimento legale del titolo di studio e in secondo luogo per le difficoltà connesse alla reperibilità di locali scolastici rispondenti ai requisiti di igiene e sicurezze previsti dalle normative specifiche.
Contrariamente all’auspicata “descolarizzazione della società” di Illich, qualcuno è quindi partito proprio da lì, dalla scuola di quel periodo, armandosi del possibile per costruire un nuovo tipo di scuola, in cui non esistono privilegi e differenze sociali, una scuola, insomma, davvero per tutti. Questa ipotesi d’intervento, in contrapposizione a quella di Illich, presuppone una profonda revisione del sistema d’istruzione, della pedagogia e della didattica tradizionale.
In Italia si trattò di una pedagogia “romantica”, capace di rinnovare la scuola (vedi ad esempio l’opera di F. De Bartolomeis, “La ricerca come antipedagogia”, 1969), che mise in discussione la passività di apprendimento legata alla lezione frontale, il libro di testo, il voto (che discrimina e seleziona) spostando il punto di attenzione verso una forma di apprendimento attivo dominato dalla ricerca, dal protagonismo e dalla partecipazione degli alunni (testi scritti dai ragazzi), dall’utilizzo di “biblioteche di lavoro” (enciclopedie, riviste, altri libri, diapositive, materiali audiovisivi).
Nel libro “Diario di un maestro”[i], nel paragrafo “La scuola della disuguaglianza”, si parla di un progetto educativo serio e complesso, più attento alle necessità dell’alunno, che “Va da Rousseau a Freinet, a Ernesto Codignola (…) C’è la ricerca del Movimento di cooperazione educativa e di Giuseppe Tamagnini. Ci sono i quaderni di Piadena. C’è Bruno Ciari, c’è Capitini. C’è, si, la Lettera a una professoressa dei ragazzi di Barbiana. Tutta roba che testimonia il moltissimo pensare e sperimentare, tra grandi difficoltà, negli anni cinquanta e sessanta”[ii].
L’Italia di quel periodo era caratterizzata da alcuni grandi filoni culturali che hanno rappresentanze politiche diverse: la cultura di ispirazione marxista, quella socialista, quella liberale, quella cattolica. Mario Lodi (pedagogia popolare), Bruno Ciari (cooperazione educativa) e F. De Bartolomeis (attivismo) sono alcuni nomi dei rappresentanti della visione pedagogica e sociale di ispirazione marxista e socialista. Anche i cattolici hanno dei meriti sul piano del rinnovamento pedagogico, Basti pensare ad Alfredo Giunti che ha ispirato il movimento di ricerca e sperimentazione didattica noto come “La scuola come centro di ricerca” (1971) e che propone di superare sia la scuola “delle nozioni” che quella “delle occasioni” (governata dall’improvvisazione) attraverso una didattica caratterizzata da solide basi scientifiche che abbia come riferimento la ricerca. Un simile modello di scuola nasce da condizioni di dissonanza che mettono l’alunno in condizioni di formulare ipotesi risolutive del problema attraverso le metodologie proprie delle discipline scientifiche.
Vale la pena inoltre ricordare l’esperienza di Manzi, coetaneo e avente molti punti in comune con Lodi e Milani, artefice di una “didattica televisiva” tramite la quale più di un milione di italiani è riuscito a prendere la licenza elementare.
Gli insegnanti, all’epoca, erano molto diversi” da oggi! Vi era un certo fermento in campo educativo le cui terminazioni attuali vanno oggi sotto il nome di “Nuove didattiche”. Didattiche quindi che, molto lentamente, muovono da circa 100 anni.
Su questo sfondo è cresciuto e si è radicato uno dei luoghi comuni più diffusi nel tempo trascorso, vale a dire: c’era una volta una scuola che faceva ottimamente il suo lavoro; poi è arrivato Don Milani, poi è arrivato l’insegnante sessantottino, e da allora tutto è andato di male in peggio.