L’annullamento che è stato messo in atto si riferisce ai soli decreti dirigenziali. Si tratta, quindi,di un semplice provvedimento amministrativo di 2° grado con il quale viene eliminato un atto amministrativo dichiarato illegittimo o, comunque, fatto segno di una valutazione di merito.
Esso ha efficacia retroattiva (ex tunc) e si configura come un “atto di annullamento ministeriale di atti dirigenziali”, come tale regolato dall’art.3 del D.P.R.748/72, il quale dispone che il Ministro può procedere all’annullamento di atti, posti in essere dai dirigenti del proprio ministero, entro 40 giorni dall’emanazione dell’atto, oppure, semplicemente, come una pronuncia di merito.Tale annullamento può essere disposto in vari casi, tra cui il cosiddetto eccesso di potere che si verifica quando l’esercizio del potere discrezionale del funzionario risulti viziato , ovvero quando non risponda a quei requisiti di tutela dell’interesse pubblico fissati dalla stessa norma che attribuisce discrezionalità al funzionario medesimo.
Va da sé che il provvedimento ministeriale non dispone affatto l’annullamento della procedura di assegnazione del compenso accessorio che, tra l’altro, non è nemmeno configurabile come un concorso. Prova ne è che non è stata emanata un’apposita ordinanza, così come previsto per i concorsi, ma semplicemente una serie di decreti dirigenziali che avrebbero dovuto dare corso alla procedura. Decreti che, secondo quanto si evince dal comunicato stampa diffuso dal dicastero di viale Trastevere, sono stati annullati a causa di una serie di eventi congiunturali che hanno indotto il ministro a nuove valutazioni.
Tali valutazioni non potranno che riferirsi alla procedura sempre che, di concerto con i sindacati firmatari, non si decida di ridiscutere ex novo l’intero istituto contrattuale.
Di qui la protesta dei sindacati non firmatari che rivendicano l’annullamento del concorso stesso. Una rivendicazione destinata a rimanere disattesa, dal momento che comporterebbe l’annullamento di una clausola contrattuale, l’art.29 del CCNL, integrato dall’art.41 del CCNI, che prevede invece una procedura ben più complessa.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro, infatti, può essere modificato soltanto dalle parti che lo hanno sottoscritto.Il ministro, in quanto parte, non può annullare unilateralmente la clausola contrattuale che, tra l’altro, si è impegnato formalmente a rispettare fino alla scadenza.
Tale impegno è stato sottoscritto anche dai sindacati confederali e dallo Snals, che si sono vincolati al rispetto dello stesso termine. In linea teorica sarebbe possibile modificare la clausola prima della scadenza , ma si tratterebbe di una procedura piuttosto singolare che, a quanto ci risulta, non avrebbe precedenti storici. Inoltre, tale risoluzione potrebbe dare adito ad impugnative più che legittime da parte di organizzazioni sindacali o privati che avrebbero titolo a tutelare la revoca di un diritto soggettivo che verrebbe loro ingiustamente negato.
Non sembrerebbe giuridicamente praticabile, infine, l’ammissione della Gilda al tavolo delle trattative, in quanto, la suddetta organizzazione sindacale non risulta tra i firmatari del contratto stesso e, come tale non può essere considerata parte.
E’ appena il caso di ribadire che il ministro Berlinguer ha annullato semplicemente i decreti dirigenziali avvalendosi di una facoltà prevista dalla legge, ma facendo riferimento ad una procedura di carattere amministrativo, che nulla ha a che vedere con quella richiesta per l’annullamento di una clausola contrattuale.
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