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Bes? Meglio bis: “bisogni speciali di immaginazione”

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Immaginiamo di poter disporre su un piano una pluralità di “parti” e di fasi che allineandosi e intersecandosi tra loro producano “un tutto che è più della somma delle parti”.
Nel 2011, una ricerca della “Fondazione Agnelli” sul sistema scolastico italiano prospettava una “normalizzazione” dei circa 90.000 docenti specializzati di sostegno.
Da poco meno di un anno, sullo scenario scolastico italiano, è stata proiettata una sigla: “bes”, e cioè “bisogni educativi speciali”. I “portatori sani” di questo acronimo sono state la Direttiva ministeriale del 27/12/2013 e la Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013: il disegno tracciato estende due “leggi speciali”, come la L.104/92 e la L. 170/10, a situazioni da esse non previste: interventi per alunni con “bes”, e l’organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica.
Qualche mese dopo la pubblicazione della Circolare, la nota Miur n.1551 del 27 giugno 2013 tenta di superare le incoerenze generate da quanto contenuto nella Direttiva e nella Circolare sui “bes”.
Infatti, mentre nella Direttiva si afferma che “Tutte queste differenti problematiche (disabilità, disturbi evolutivi specifici e svantaggio socio-economico, linguistico e culturale, e cioè le 3 aree di bes) non vengono o possono non venire certificate ai sensi della legge 104/92, non dando conseguentemente diritto alle provvidenze ed alle misure previste dalla stessa legge quadro, e tra queste, all’insegnante di sostegno”, nella Circolare applicativa, il “Pai”, cioè il Piano di inclusione annuale, è precisato come strumento per realizzare gli obiettivi previsti dai “bes”, e costituisce formale richiesta, da parte delle Istituzioni scolastiche (per il tramite del Gli, dopo delibera del Collegio dei docenti) agli uffici degli Usr e ai Glip e Glir, per:
organico di sostegno; assegnazione risorse di competenza; assegnazione risorse di sostegno.
Gli Usr, a loro volta, assegneranno le risorse secondo quanto disposto dall’art.19 della L.111/2011, il quale, a sua volta, si richiama all’art.2 della L.244/2007.
Ora, proprio la nota 1551 sopracitata risolve questa patente inconciliabilità affermando che da atto esterno il Pai “evolve” in “atto interno della scuola autonoma finalizzato all’autoconoscenza e alla pianificazione; (…) non è un documento per chi ha bisogni educativi speciali, ma strumento di progettazione della propria offerta formativa”; (…) resta fermo che il Pai non sostituisce le richieste di organico di sostegno delle scuole, che dovranno avvenire secondo le modalità definite da ciascun Ambito Territoriale”.
Che dire? Più che una soluzione, sembra un ribaltamento. Forse perché le risorse (cfr. il 2.2.6 della Direttiva) più che essere assegnate o programmate, per come sono state formulate rimandano a un “bis” (bisogno speciale di immaginazione).
Nei documenti ministeriali, quindi, tutto è risolto da una parola chiave, taumaturgica: la “personalizzazione dell’apprendimento” (della quale sono, naturalmente, investiti i docenti) che è concetto (e prassi) nobile e bellissimo.
Che però “incontra”:
• il “rapporto Giarda” del 2012, il quale, spazzando via ogni asmatica retorica sulla società della conoscenza da valorizzare, sancisce che il peso di istruzione e ricerca nella composizione della spesa pubblica complessiva è passato dal 23,1% del 1992 al 17, 7% del 2009 (cioè “meno” 5,4%, dato da Paese in via di de-sviluppo; e dal 2009 al 2012 la tendenza si è consolidata);
• una riduzione complessiva, negli ultimi 10 anni, di ca. 100.000 docenti, a fronte di un aumento di oltre 300.000 studenti; (fonte elaborazione su dati Eurostat)
• l’art.64 della L.133/2008 (volgarmente sintetizzato in norma che introduce le “classi pollaio”);
• una riduzione della spesa in istruzione maggiore di quella sofferta dall’insieme dei servizi pubblici : tra i grandi Paesi dell’UE, solo l’Italia ha fatto registrare tale primato; (si rimanda, in tal senso, alla riforma “epocale” Tremonti-Gelmini);
• (ancora) una “revisione della spesa”, programmata per la primavera del 2014, che individua, nel capitolo dedicato alla scuola pubblica statale, due voci di spesa da “rimodulare”: edilizia e “sostegno” (fonte: Tecnica della Scuola, versione web).
Ultimo, ma non ultimo: già nel 2005, D. Ianes argomentava che, anche senza una diagnosi medico/psicologica, l’intervento individualizzato nei confronti degli alunni con “bes” necessiti sia di attivazione di risorse e di ambienti attrezzati e idonei, che la presenza, fondamentale, dell’insegnante specializzato di sostegno all’interno del Cdc.
Gli “incontri” sopra descritti, insieme alla Direttiva e Circolare sui bes, autorizzano un’interpretazione che si allinea alla prospettiva citata in apertura circa il futuro dei circa 90.000 docenti specializzati di sostegno?
Questo “tutto” esitato dalla somma delle parti contribuisce ad una crescita, non parolaia, della scuola pubblica statale nel segno dei diritti costituzionalmente garantiti?
Antonio Pirrone