Il sindaco di Saonara nel padovano vuole applicare una multa fino a 400 euro per chi bestemmia in pubblico, applicando il testo dell’articolo 724 del codice penale: «Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantuno euro a trecentonove euro. La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti».
Tuttavia fino al 30 dicembre del 1999 l’atto di bestemmiare in pubblico era persino un reato, quindi di rilevanza penale, ma da quella data è stato depenalizzato dal decreto legge 55/1999 all’articolo 57. Quest’ultimo, tuttavia, non ha eliminato tutte le conseguenze in materia di blasfemia, bensì ha spostato il problema sul piano dell’illecito amministrativo. Ciò significa che chiunque bestemmi pubblicamente (la cosa vale anche per i social network), ancora oggi, rischia una sanzione pecuniaria che, per l’appunto, può variare dai 51 ai 309 euro.
Ma bisogna pure ricordare che la legislazione nata dopo la rivoluzione francese abolì invece la bestemmia come reato da molti codici penali, compreso quello italiano del 1889.
Senonchè nel 1931 il “reato” fu reintrodotto dal fascismo e con un notevole apparato propagandistico, tanto che in tutte le scuole del Regno, dalle elementari alle superiori, veniva proposto regolarmente un “Concorso per la propaganda antiblasfema”.
Uno dei titoli, che venne assegnato nell’anno 1938, recitava cosi: “La propaganda nazionale antiblasfema è opera altamente civile e merita l’incoraggiamento di tutti”.
Colpisce certamente il presunto “rigore” del fascismo che punisce il blasfemo; così come il meccanismo che il regime mette in opera per propagandare una “campagna” diretta, in definitiva, contro tutti gli italiani: bestemmiatori barocchi, fantasiosi e ricercati; alla stessa strega del “Duce” che di bestemmie pare fosse un vero “maestro”.
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