La dicitura del ministero dell’Istruzione non sembra avere pace. Sul finire del ventennio fascista e poi con la nascita della Repubblica, subito dopo il voro referendario, per decenni il dicastero è stato denominato “Ministero della Pubblica Istruzione”. L’aggettivo ‘Pubblica’ rimase anche quando il governo Moro, nel 1974, affidò alcune competenze al ministero per i Beni Culturali ed ambientali. Il primo cambiamento arrivò nel 1999, quando Franco Bassanini, con la riforma della PA e il riordino dei ministeri, fu promotore della Legge 300 che toglieva l’aggettivazione “pubblica” a partire dalla legislatura successiva. Atto che si materializzò un paio d’anni dopo, quando alla guida dell’Istruzione arrivò la forzista Letizia Moratti.
Cinque anni dopo, nella primavera del 2006, subito dopo la sua nomina a Viale Trastevere, il ministro Giuseppe Fioroni reintrodusse la parola “pubblica”. Il governo successivo, guidato da Silvio Berlusconi, con ministra Mariastella Gelmini, tolse di nuovo la dicitura.
Adesso, dopo il desiderio espresso ma non attuato da Valeria Fedeli di reintrodurre la definizione tradizionale, il ministro Patrizio Bianchi chiede di tornare all’antico: intervenendo al dibattito “La scuola di cui l’Italia ha bisogno”, organizzato da Nemetria, ha detto che “va enfatizzato il carattere istituzionale della scuola se c’è una cosa che mi dà sofferenza è che sia scomparsa quell’aggettivazione ‘Pubblica Istruzione’: noi siamo oggi miseramente il ministero dell’Istruzione”.
Se quindi Bianchi dovesse riuscire nell’intento, si tratterà del quarto cambiamento in vent’anni.
Il numero uno del dicastero dell’Istruzione è convinto che è stato un errore “togliere quell’aggettivo che dava il senso, il valore e l’obiettivo a tutta questa istituzione. Sembrerà una battaglia forse di altri tempi, ma ho richiesto che venga ripristinata la dizione ‘ministero della Pubblica istruzione'”.
Il ministro Bianchi, comunque, avrà il suo da fare per tornare all’antico: per reintrodurre la parola ‘pubblica’ serve infatti una norma di legge.
Non è un caso se sempre durante il dibattito, Bianchi è tornato sul tema dell’importanza sociale della scuola, quindi degli abbandoni e della disoccupazione che attanaglia le vite di tantissimo giovani.
“Dobbiamo ampliare il numero di coloro che sono capaci di partecipare alla vita politica, economica e sociale del paese: il numero dei giovani che chiamiamo Neet è troppo alto, troppo alte le aree che mandano segni di marginalità”, ha dichiarato.
Secondo il titolare dell’Istruzione bisogna approfittare di questo periodo di denatalità, con le nascite sempre più in declino, per investire ancora di più sulla scuola, sui giovani e sui servizi pubblici.
“La scuola non deve essere considerata un angolino della pubblica amministrazione ma il perno della vita sociale: questo richiede che tutto il paese riponga nella scuola fiducia e sia in essa il perno dello sviluppo per non ritrovarci nello sbandamento degli ultimi anni”, ha concluso il ministro.
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