“Gli insegnanti non sono gli amici dei ragazzi ma gli adulti che li aiutano diventare grandi”: il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, si rivolge ancora una volta ai docenti e al loro ruolo chiave per i giovani. Intervenuto l’11 ottobre al convegno “La scuola: quale futuro dopo la pandemia“, organizzato dalla Fondazione Golinelli, il numero uno uscente del dicastero bianco ha detto che “dobbiamo dare molta più attenzione agli insegnanti, a come si preparano al loro ruolo come adulti di riferimento” e che il loro ruolo di “orientamento deve iniziare da subito”, perché accompagna “i ragazzi nella loro crescita che è sempre più difficile”.
Le difficoltà dei docenti sono quelle che derivano da una società complessa, iper-digitale e in perenne mutamento. Con sempre meno certezze e punti fermi.
“All’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sull’educazione – ha detto il ministro – la frase iniziale è stata: tutti i sistemi educativi del mondo sono in crisi perchè siamo in un mondo in profonda trasformazione. Non siamo più sicuri che il modo in cui noi abbiamo studiato sia l’unico per poter apprendere e imparare”.
E ancora: “Bisogna fare più esperienze di vita, di famiglia, di comunità locale, di territorio, un tempo i giovani avevano luoghi in cui ritrovarsi: parrocchie, partiti, ritrovi di calcio che oggi o latitano o sembrano parte di un sistema per cui anche i nostri figli sono in un tempo del tutto incasellato. Bisogna riconquistare il tempo e la capacità di pensare che c’è un tempo per ogni cosa”.
Anche la “caduta demografica imponente”, associata ad “una immigrazione altrettanto imponente”, costringe a rivedere le regole di convivenza tradizionali: riuscire ad “insegnare a vivere insieme venendo anche da storie diverse, è un grande lavoro da fare”, ha sottolineato.
Bianchi ha quindi esaltato l’organizzazione del nostro sistema scolastico: “La sfida della nostra scuola – ha sottolineato il ministro – è essere aperta, inclusiva e gratuita”. Una condizione tutt’altro che scontata, perché, ha proseguito, “non dappertutto è così: non è così per esempio negli Stati Uniti dove scuola e sanità non sono beni pubblici, aperti a tutti”.
Infine, il responsabile del ministero dell’Istruzione ha detto che “tutti noi parliamo male della nostra scuola, ma le sperimentazioni in atto sono straordinarie e dimostrano che è una scuola viva ed è presa come riferimento da molte scuole nel mondo”.
A pochissimi giorni dal termine del suo importante mandato a Viale Trastevere, Patrizio Bianchi continua dunque a spendere parole di elogio per le nostre scuole e per chi vi insegna: una posizione condivisa, certamente, dalla maggior parte degli italiani che nei sondaggi nazionali continuano a mantenere l’istituzione scolastica ai primi posti per il gradimento e l’importanza sociale.
Quello che tanti, invece, contestano al ministro uscente dell’Istruzione è l’avere insistito su provvedimenti, come il docente esperto da incentivare non prima del 2032 o la difesa strenua del nuovo sistema dei concorsi, invisi dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori: una posizione di fermezza (e di coerenza rispetto alle proprie idee) che al professore Patrizio Bianchi è costata una bella fetta di consensi.
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