Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, non arretra di un centimetro: lunedì 10 gennaio gli alunni dovranno entrare in classe. Intervistato su Sky Tg24, il numero uno del dicastero dell’Istruzione ha tenuto a dire che sbaglia chi pensa che l’esplosione di Covid sia da addebitare anche all’apertura degli istituti scolastici: “L’aumento dei contagi non è avvenuto nelle scuole, ma quando gli istituti erano chiusi”, ha tenuto a dire Bianchi.
Poi il ministro ha aggiunto: “Con il provvedimento approvato il 5 gennaio diamo la possibilità per una scuola in presenza, in una situazione controllata e regolata”. Niente DaD, quindi: bisogna “insistere sulla presenza, è una misura sanitaria importante”.
Parlando delle nuove quarantene a scuola, introdotte col decreto legge approvato dal CdM il 5 gennaio e appena giunto in Gazzetta Ufficiale, Bianchi ha detto che “abbiamo approvato una serie di provvedimenti articolati, anche per la scuola. È stato ribadito il principio base e importante della scuola in presenza ma abbiamo anche regolato, per casi specifici e mirati, l’uso della dad per 10 giorni. Siamo intervenuti per regolare una situazione che poteva essere fuori controllo come quella della formazione a distanza”.
A proposito della volontà, trapelata da fonti di Palazzo Chigi, di impugnare i provvedimenti di posticipo del rientro in classe, in particolare quello del governatore della Campania di introdurre la DaD sino alla terza decade di gennaio per tutti gli alunni campani, Bianchi ha dichiarato che “il Governo deve garantire la legalità. Il presidente De Luca ha avanzato un’ordinanza per chiudere le scuole in Campania ma è in esplicito contrasto con la norma oggi vigente in Italia, pubblicata già nell’agosto scorso”.
Ribadendo che “è fatto divieto di prendere decisioni generalizzate sul territorio”, il ministro ha detto il Governo sta “studiando il provvedimento del governatore della Campania che impugneremo”. Nel frattempo, sembra che il Tar abbia già chiesto alla Regione Campania di presentare ulteriori documenti.
Bianchi ha inoltre il sostegno di praticamente tutti i componenti del Governo. Per il sottosegretario all’istruzione Rossano Sasso l’Italia non può “permettersi un nuovo ricorso sistematico e massiccio alla didattica a distanza, anche perché non tutti i nostri docenti sono stati formati per questo tipo di insegnamento”.
Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, ha specificato che “riaprire la scuola in presenza non significa ‘liberi tutti’, perché ad esempio, per i più piccoli basta un contagio in classe per andare tutti in dad” e “aver diversificato il sistema di quarantene, credo sia un tentativo per garantire il più possibile la didattica in presenza”.
Sulla decisione della Sicilia di posticipare l’inizio delle lezioni di tre giorni, il ministro dell’Istruzione è stato invece decisamente più morbido: è una situazione, ha detto sempre a Sky Tg24, ben “diversa” di quella della Campania.
“Il calendario scolastico dipende dalle regioni. Si deve andare a scuola 205 giorni all’anno. In Sicilia era stato programmato tenendo fuori 4 giorni da poter spendere quando si riteneva e questo ha fatto”, ha concluso Bianchi.
Anche dai governatori “ribelli” non sembrano giungere però ripensamenti. “Registro la unanime posizione di rettori, dirigenti scolastici, rappresentanti sindacali e delle associazioni familiari, che ci chiedono di farci interpreti con il governo nazionale della necessità di rivedere la attuale posizione sulla possibile scelta della didattica a distanza come strumento di accompagnamento temporaneo verso la piena didattica in presenza”, ha scritto Nello Musumeci, presidente della Regione Siciliana.
Musumeci ha confermato che spostando al 13 gennaio il rientro sono stati utilizzati “i nostri poteri di autonomia primaria sul calendario scolastico”.
Di più non si poteva fare: “La sensibilità evidenziata anche dai sindaci della Sicilia – ha aggiunto Musumeci – non può lasciarci immobili, ma non possiamo neppure alimentare un inutile conflitto con il governo centrale che ha già annunciato di volere impugnare decisioni in contrasto con la legislazione vigente. Abbiamo adottato la soluzione più ragionevole”.
Anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, sostiene che i governatori sono stati praticamente messi all’angolo: su Facebook ha scritto che in questi giorni “le Regioni hanno, invano, richiesto un posticipo della riapertura per avere il tempo di completare le vaccinazioni degli studenti e in particolare quelle dei più piccoli, ma il Governo sul punto è stato irremovibile”.
Emiliano ha detto di non poter “intervenire con un’ordinanza regionale, perché lo scorso 6 agosto è stato emanato il decreto legge 111, (poi convertito in Legge con modificazioni) che consente ai presidenti delle Regioni di derogare alle disposizioni nazionali solo quando una regione si trova in zona rossa”.
Ha dunque sottolineato che “la Puglia in questo momento si trova in zona bianca, ha un tasso di incidenza dei contagi e delle ospedalizzazioni inferiore alla media nazionale e percentuali di vaccinazione sopra la media. Quindi non ci sono i presupposti giuridici”.
“Quello che sicuramente possiamo fare – ha concluso – è spingere al massimo sulle vaccinazioni” e anche se “la Puglia è di gran lunga la prima regione italiana ad aver protetto i bambini con la migliore copertura vaccinale, al momento” è immunizzato “solo il 25,2% del target”.
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, dal canto suo, ha chiesto “l’autorevole espressione scientifica del Cts”: la “stiamo ancora attendendo, dopo che su mia iniziativa questa richiesta è stata presentata in Conferenza Regioni e portata al Governo”, ha detto Zaia all’Ansa.
Secondo il presidente del Veneto, il problema è che dinanzi “all’importante ondata del contagio” e al dibattito conseguente sulla riapertura o meno “abbiamo davanti uno scenario che sarà un ‘calvario’ per la scuola, tra insegnanti colpiti dal Covid, altri assenti per malattia, altri ancora no vax e nuove regole della Dad. Insomma quella della scuola rischia d’essere una falsa apertura”.
In effetti, a sentire Antonello Giannelli, numero uno Anp, interpellato dall’Ansa, lunedì potrebbero essere “assenti 100.000 dipendenti della scuola su un milione – tra docenti e personale Ata – ovvero un 10% del totale, per le più svariate questioni legate a Covid, quarantene, vaccini eccetera”.
Pure gli altri sindacati, Flc-Cgil, Cisl Scuola e Uil Scuola, l’8 gennaio a colloquio con il ministro Bianchi, si sono detti “preoccupati” per la ripresa in una scuola: la leader della Cisl, Maddalena Gissi, di comparto ha previsto che “le scuole chiuderanno per difesa della salute perché chi non ci ha pensato a livello nazionale non sa che purtroppo a livello periferico i dirigenti hanno delle responsabilità”.
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