“Io ho apprezzato molto l’esperienza di San Patrignano, che però raccoglie già uno specifico di ragazzi che hanno attraversato un preciso spettro di dramma personale e ho visto anche come si è evoluta SanPa: lì fondamentale è stata la formazione professionale“. Un’esperienza, quella di SanPa, che secondo Patrizio Bianchi restituisce “l’idea di educazione civica che il lavoro è dignità. Ma ho visto – chiarisce – che funziona tanto meglio quanto più queste comunità sono radicate nel territorio, il minore deve stare in un contesto comunitario e la comunità deve essere radicata in un territorio”. Insomma, alle volte servono comunità molto strutturate. Così il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi alla Camera per riferire sul tema delle comunità che accolgono i minori. Una citazione che chiama in causa l’operato di Vincenzo Muccioli, padre fondatore della comunità, figura anche controversa.
“I valori fondanti del nostro intervento? Riaffermiamo la centralità della scuola pubblica nel garantire a tutti non soltanto l’Istruzione ma la capacità di partecipare attivamente alla vita della comunità”.
“Un tema legato ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che hanno sofferto per l’affidamento – sottolinea il ministro – con fragilità che rischiano di segnarli per tutta la vita. La scuola non vuole e non deve surrogare la famiglia o la società. La scuola è la scuola, è il principio fondante per cui tutti, non uno di meno, devono fare parte di una comunità, e la scuola è la prima comunità in cui ciascuno viene inserito”.
“L’ultima analisi a noi giunta dal ministero per il lavoro e le politiche sociali segnalava 27.608 minori collocati fuori dalla famiglia, al netto dei minori stranieri non accompagnati. Di questi, circa la metà in affidamento familiare, 14mila in servizio residenziale per minorenni. Quindi quando parliamo di affidamento abbiamo situazioni diverse: soggetti che ritrovano una famiglia e soggetti che ritrovano una comunità ma che non riesce a surrogare la famiglia”.
Quando è fondamentale la presenza di un insegnante? “Quando ci accorgiamo che uno di questi bambini o ragazzi sta male: è questo il mestiere dell’insegnante, questo che rende la scuola speciale. Ecco perché la mia battaglia per la scuola in presenza, perché i ragazzi bisogna guardarli negli occhi per accorgersi se stanno male, è questo il mestiere dell’insegnante”.
“Quando noi parliamo di affido minori parliamo di minori che vanno doverosamente ascoltati, che non vuol dire cedere a delle richieste senza assumersi delle responsabilità, ma significa disporre di una struttura che una volta segnalato il malessere, può reagire: ecco perché dobbiamo investire nella scuola, nei docenti, nei dirigenti”.
“Poi quando su un bambino o una bambina vengono riconosciuti bisogni educativi speciali poi su questo alunno va redatto un piano didattico personalizzato, e nel contempo va attivato un rapporto con le autorità di pubblica sicurezza e un rapporto con il tribunale per fare in modo che per questo bambino si riesca a garantire un percorso di benessere successivo. Ma la scuola deve prestare particolare attenzione a questi casi”.
E sulla dispersione scolastica, il ministro cita i dati: “Su una media europea del 10% di dispersione scolastica, il nostro Paese si colloca al 14% ma nelle periferie urbane del sud la dispersione sale ulteriormente. La presenza della scuola e degli enti locali in questi casi è fondamentale. Ma la scuola non va clinicizzata – avverte – la scuola è scuola. Se vanno fatti interventi sanitari bisogna che protagonisti siano altri soggetti, senza scavalcamento di una figura da parte di un’altra.
Quanto alle scuole domiciliari, il ministro: “Io mi permetto di dire: la scuola è prima di tutto comunità, la scuola è fondante per garantire ai bambini un percorso di inclusione e di inserimento. La scuola è palestra di comunità”.
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