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Bilinguismo e educazione linguistica: intervista a Paolo Balboni

È acceso in questi giorni in Spagna il dibattito tra coloro che sono a favore della sospensione dei programmi di bilinguismo nelle scuole nazionali e coloro che invece ritengono di andare avanti. Il sistema, introdotto nel 2006, deve ora fare i conti con pesanti critiche sia da parte dei docenti che dei genitori, le cui aspettative, stando a quanto riportano numerosi esperti, sono state deluse.

Antonio Cabrales, ricercatore dell’Università Carlos III e autore del rapporto del 2017 Evaluating a bilingual education program in Spain, ritiene che il curriculum spagnolo abbia troppi contenuti e a questo si aggiunge il fatto che alcuni corsi sono tenuti in inglese da insegnanti non madrelingua.
Il boom dell’educazione bilingue era stato introdotto dai governi regionali spagnolinei primi anni 2000, ed erano 240.154 studenti registrati dopo dieci anni; nel 2019-2020, c’erano 1,4 milioni di studenti in un programma scolastico bilingue, che rappresenta un aumento del 498%, secondo un’analisi di EL PAÍS utilizzando i dati del Ministero dell’Istruzione.

Il punto di vista di Paolo Balboni

Abbiamo chiesto a Paolo Balboni, Direttore del Centro di Didattica delle Lingue dell’Università Ca’ Foscari, professore onorario di Linguistica Educativa, nonché tra i fondatori dell’ANILS, Associazione Nazionale Insegnanti Lingue Straniere, di fare il punto sulla situazione italiana rispetto alla didattica delle lingue.

La formazione dei docenti italiani in ambito linguistico continua a rappresentare un punto debole a favore di un processo di una più efficace educazione linguistica, partendo dai primi anni di scuola. Quali strategie sostenibili potrebbero essere messe in atto per avere docenti più preparati?

La competenza metodologica degli insegnanti di lingua straniera è tra le più alte nel panorama degli insegnanti italiani, sia come qualità sia come diffusione: le associazioni degli insegnanti lavorano da anni, ci sono moltissime riviste gratuite, webinar e così via – e la qualità della proposta glottodidattica (o edulinguistica, che dir si voglia) italiana è allineata con le migliori ricerche ed esperienze internazionali.

Lo stesso non può dirsi degli insegnanti di italiano L1 e di lingue classiche, dove accanto a singoli che hanno ottima formazione ci sono moltissimi che proseguono secondo la tradizione consolidata.

È sufficiente osservare i manuali: quelli di lingue straniere sono allineati con i manuali prodotti nelle nazioni più avanzate, quelli di italiano, latino e greco sono molto legati alla tradizione italiana anche dove questa non ha alcun fondamento scientifico.

Le strategie per migliorare la qualità degli insegnanti devono passare da modelli formativi in cui l’input viene da fuori della scuola (il conferenziere che pontifica e poi prende il treno e va) a un modello flipped, che abbiamo proposto in un volume gratuito che a giorni sarà disponibile (https://edizionicafoscari.unive.it/it/edizioni/collane/sail/), in cui la ricerca teorica di glottodidattica contribuisce con dei video, e il progetto formativo è gestito da tutor, insegnanti che sanno come gestire la formazione anche se non sono professionisti della ricerca glottodidattica.

In Italia il CLIL continua ad essere prerogativa della scuola secondaria di secondo grado, ma sono molte le esperienze pilota nella primaria e nella scuola media, quale potrebbe essere una direzione da prendere a livello istituzionale per favorirne la diffusione, come buona pratica di potenziamento vero un maggiore e più diffuso apprendimento delle lingue?

Anzitutto ricordiamo che il CLIL è una metodologia che ha dei pro e dei contro, dei vantaggi e degli svantaggi, anche se questi ultimi sono stati spesso messi in ombra; una situazione in cui una singola metodologia monopolizza tutta la didattica, come nelle quinte classi delle scuole superiori, è una situazione di follia dove i danni probabilmente finiscono per superare i vantaggi – anche se nella realtà molto del CLIL nelle quinte classi è solo nei registri, perché nella realtà ci sono momenti CLIL in un continuum italiano di fondo.

Una didattica ecologica non privilegia una specie, ma attribuisce a tutte un ruolo, così come una dieta salutare non privilegia un cibo a scapito degli altri: il CLIL è una specie vitalissima, è un cibo prezioso se realizzato occasionalmente, anche in maniera forte (ad esempio, anziché 9 mesi di CLIL in quinta, 3 mesi l’anno negli ultimi 3 anni); diventa una noia demotivante se diventa l’unica specie, l’unico cibo disponibile.

Con questa logica, progetti CLIL dalla primaria in poi sono fondamentali, arricchiscono la didattica, motivano, mostrano che la padronanza della lingua sta crescendo e si può studiare in un’altra lingua, insegnano a studiare in un’altra lingua.
Non è un problema di CLIL sì o CLIL no: è CLIL sì ma con saggezza e misura.

Carmelina Maurizio

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