Per la Suprema Corte, quello che conta è l’interesse dei bambini, comunque nati, il loro diritto ad avere entrambe i genitori: un interesse che deve prevalere sulle norme ‘restrittive’ attualmente in vigore in Italia che, “seppure imperative” – rilevano i supremi giudici – sono pur sempre “astrattamente modificabili dal legislatore futuro”.
La Cassazione riconosce il diritto anagrafico dei figli nati all’estero, con la procreazione medicalmente assistita in Paesi che hanno legalizzato la genitorialità delle coppie ‘same-sex’, pur in assenza di una norma che nell’ordinamento italiano consenta alle coppie gay di avere figli.
Ad avviso della Suprema Corte, che si è schierata con le due mamme, anche se non ci sono norme che regolano questi casi, non c’è alcun “divieto costituzionale” che preclude alle coppie dello stesso sesso “di accogliere e generare figli”.
Inoltre, non è di nessun ostacolo al riconoscimento la circostanza che la tecnica procreativa utilizzata “non sia riconosciuta nell’ordinamento italiano dalla legge 40 del 2004, la quale rappresenta una delle possibili modalità di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore ordinario su di una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate”. Insomma gli ‘ermellini’ non hanno trovato alcuna valida ragione per negare lo ‘status’ di figlio a questo bambino anche perchè il fatto “che le coppie di persone dello stesso sesso ben possano adeguatamente accogliere figli e accudirli, è ora confermato dalla possibilità di adottarli” e questo non in forza della legge sulle unioni civili – che non se ne occupa – ma della ‘vecchia’ legge sulle adozioni del 1983, così come interpretata dalla Cassazione in un verdetto recentissimo.
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Con questa sentenza, la Suprema Corte – che non ha applicato la legge sulle unioni civili ma solo la sua giurisprudenza – ha confermato il decreto con il quale la Corte di Appello di Torino, nel dicembre 2014, ha ordinato all’anagrafe del capoluogo piemontese di trascrivere l’atto di nascita del piccolo cittadino spagnolo dal doppio cognome.
Dopo il divorzio, di comune accordo, le due ex mogli hanno chiesto la trascrizione dell’atto di nascita presso l’anagrafe italiana – per consentire alla mamma piemontese di tenere con sè il bambino in Italia ed iscriverlo a scuola, oltre che per garantirgli tutti i diritti ereditari e i legami con i suoi parenti – ma il Tribunale di Torino l’aveva negata “perché contrastante con il principio di ordine pubblico in base al quale madre è soltanto colei che ha partorito il bambino”.
Questa tesi è stata sostenuta nel loro ricorso alla Suprema Corte – contro le due mamme – anche dalla Procura generale di Torino, e dal Ministero dell’Interno. Ma la Cassazione ha affermato che “la regola secondo cui è madre colei che ha partorito, non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che lo ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola”. Accantonate le presunte esigenze di ordine pubblico, la Cassazione invita a non dimenticare che in vicende come questa “viene in rilievo” e quindi deve essere ‘protetta’ “la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalle legge alle coppie di persone di sesso diverso”.
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