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Bimbi fino a 2 anni: per l’Ocse gli italiani tra i meno assistiti

I nostri bambini fino a tre anni sono quelli dell’area Ocse ad avere più scarse possibilità di essere accolti da una struttura pubblica scolastica, mentre le scuole materne funzionano ottimamente. 
E’ questo il giudizio, decisamente in chiaroscuro, che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha dato ai nostri istituti scolastici pubblici rivolti ai bimbi dalla nascita fino all’inserimento nella scuola primaria.
Nella parte del rapporto “Bambini e capi – come riconciliare il lavoro e la vita in famiglia” dedicato all’Italia, l’Ocse sostiene senza troppi giri di parole che i bambini italiani sono tra quelli dell’area dei Paesi esaminati ad avere “meno probabilità di ricevere assistenza pubblica tra 0 e 2 anni”, salvo che i genitori dispongano dei requisiti previsti che, peraltro, “variano molto da regione a regione”. 
In effetti i nostri piccoli sino a tre anni vengono accolti negli asili nido comunali sulla base di criteri di accesso che ‘premiano’ le famiglie che vivono in condizioni di particolare disagio: la precedenza viene infatti data a chi ha un solo genitore, nei casi di presenza di bimbi disabili o alle famiglie particolarmente numerose. Nelle situazioni di normalità diventa determinante la dichiarazione Isee: l’‘Indicatore della situazione economica equivalente’ dal quale si ricava la graduatoria di accesso e, se accolti, anche la retta (la media nazionale è di 290 euro al mese). 
La possibilità di vedersi accogliere la domanda, tuttavia, varia molto da luogo a luogo: in alcune zone d’Italia, soprattutto al Nord, gli asili nido comunali sono infatti decisamente più numerosi. Il record di mancata accettazione spetta alla Sicilia e alla Basilicata, dove restano a tutt’oggi insoddisfatte rispettivamente il 61 e il 55% delle domande. 
Rimane curioso il fatto che in alcune regioni del Sud, ha fatto sapere l’Istat, la percentuale di famiglie in difficoltà è inferiore alla media; questo, per ‘Istituto nazionale di statistica, potrebbe però semplicemente “dipendere dalla scarsa partecipazione delle madri al mercato del lavoro”.
Secondo un recente studio di Cittadinanzattiva, complessivamente le liste d’attesa sono molto lunghe ed almeno un bambino su 3 rimane fuori dall’asilo pèbblico. Per il Ministero dell’interno l’andamento negli ultimi anni è comunque positivo: dal 2002 al 2005 la mancata accettazione dei nidi pubblici si sarebbe ridotta dal 36 al 31%.
Il problema è, però, quello della carenza delle strutture: oggi esistono poco più di 3mila asili nido pubblici, a fronte dei 3.800 asili che la legge 1.044 del 1971 aveva stabilito di raggiungere nel lontano 1976. Il motivo è presto spiegato: i sussidi statali agli asili nido pubblici sono tra o più bassi d’Europa.
Secondo l’Ocse il mancato supporto delle istituzioni nell’accoglienza dei bimbi fino a tre anni complicherebbe non poco la già difficile situazione delle famiglie italiane, in particolare della parte femminile: rispetto ad altri Paesi avanzati, le nostre donne hanno, infatti, più problemi ad inserirsi nel mondo del lavoro; ciò avrebbe influenze, sostiene sempre l’Ocse, anche sul tasso di fertilità nella penisola (tra i più bassi del mondo). “Negli anni ’70 il tasso di fertilità in Italia era relativamente alto. Ma da allora il calo è stato molto rapido – si legge nel rapporto internazionale – e resta molto basso anche se di recente le nascite sono marginalmente aumentate. E’ difficile per i giovani avere figli”.
C’è da rallegrarsi, invece, per il commento che l’Ocse dà alle scuole dell’infanzia o prescolastiche italiane: secondo il rapporto “sono ben utilizzate, a riflesso del fatto che ricevono sussidi pubblici, sono aperte a tutti e di elevata qualità”. Sembra proprio che solo dopo i due-tre anni d’età la strada dei nostri bimbi, almeno quella che porta a scuola, diventa in discesa.
Alessandro Giuliani

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