Una parrocchia di Bari non se la sente di accogliere un bambino di 10 anni nel gruppo del catechismo per prepararsi alla comunione: il bimbo è autistico e il sacerdote si giustifica sostenendo che le catechiste non hanno esperienze di disabilità, non sono insegnanti di sostegno.
La mamma del bambino non l’ha presa bene: ha “spiattellato” il caso ai giornali, anche alla Repubblica, sostenendo che in questo modo si vogliono negare i sacramenti al figlio.
Tutto è iniziato a fine settembre, quando la donna, accompagnata da un’amica, chiede a don Vito Marziliano, il parroco della chiesa del suo quartiere, la Santa Croce, che il figlio possa frequentare il catechismo, come gli altri suoi compagni di scuola.
Mi ha detto, ha rivelato al quotidiano, che la presenza del bambino alla “messa della domenica può disturbare gli altri bambini“.
“Lui – ha continuato la madre – mi ha chiesto che problemi avesse Antonio (nome di fantasia) e poi ha aggiunto: ‘Non ho esperienze con questi soggetti’. Io gli ho assicurato che il bambino avrebbe avuto sempre l’assistenza di un’educatrice”.
Il sacerdote, evidentemente preoccupato per la presenza del bambino nel gruppo del catechismo, ha chiesto se l’educatrice fosse riuscita “a far capire al bambino il messaggio cristiano” e se con lui era necessario “alzare la voce o alzarsi spesso. In quel caso, sarebbe stato difficile farlo partecipare anche alla messa”.
Alla signora, ha detto don Vito all’Ansa, ho “solo chiesto una mano per gestire il bambino” ma lei “si è irrigidita ed è andata via”.
Il sacerdote sostiene che la vicenda “si sia diabolicamente avvelenata”, e riferisce che la mamma del piccolo gli ha confermato che suo figlio “è autistico: ma nessuna delle nostre catechiste – si rammarica don Vito – ha una formazione adeguata per assisterlo“.
Inoltre, aggiunge il parroco precisando di “non voler offendere nessuno, il bambino urla spesso: è già accaduto quando è venuto un’altra volta con sua madre e in quella circostanza fui molto affettuoso con lui”.
In quella occasione, però, “non c’era celebrazione: cosa accadrebbe se il bambino cominciasse a urlare durante la messa dedicata ai bambini?”, ha chiesto il parroco?
“Io – ha continuato don Vito – ho chiesto alla mamma se lei ci avesse aiutato a gestire la cosa“.
Don Vito rileva che in questa vicenda ci sono state “cattiveria e malafede”, e la mamma del bambino “sembrava indisposta a trovare una soluzione”.
Il sacerdote ha quindi tenuto a dire che la signora avrebbe anche “convinto quattro famiglie a cambiare parrocchia”. Ora, però le tende la mano: “se vuole può tornare, non ho nessuna difficoltà, ma ci deve aiutare a gestire il bambino: a scuola questi bambini hanno gli insegnanti di sostegno“.
Don Vito ricorda infine che la sua è una parrocchia aperta, soprattutto ai giovani: “Facciamo anche la messa in inglese per gli africani che poi si fermano a mangiare qui e il pomeriggio facciamo anche corsi di italiano per gli stranieri”.
Il fatto che la parrocchia sia “aperta” agli africani, rende ancora più paradossale la ritrosia ad accogliere un bimbo autistico. Le stesse scuole, citate dal parroco, non hanno sempre la possibilità di affiancare il docente di sostegno agli alunni disabili, iperattivi o con problemi comportamentali: anche nella migliore delle ipotesi, se la disabilità è grave, il docente specializzato nella didattica speciale è previsto solo per poco più della metà delle ore di lezione. Nelle altre è seguito da un assistente educatore. Quello che la mamma, a suo dire, avrebbe messo a disposizione della parrocchia. E allora?
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